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[In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
31-05-2015, 03:53 PM
Messaggio: #10
RE: [In Attesa] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO IX: IL VECCHIO EREMITA

Ubbidendo agli ordini dell’Organizzazione, Seayne raggiunse dopo alcuni giorni di cammino la zona a lei assegnata: la regione di Guernica, nei boschi a meridione del deserto di Staph. La guerriera albina intendeva tenersi il più lontano possibile dagli insediamenti umani, tuttavia non poteva neanche vivere all’addiaccio nei giorni a venire, quindi iniziò a cercare un luogo dove insediarsi. Nei primi giorni non ebbe fortuna: a parte qualche anfratto roccioso o qualche riparo occasionale, non le riuscì di trovare nulla che la soddisfacesse, finché, in un pomeriggio soleggiato, non si trovò a camminare in una piccola radura che si allargava all’interno del bosco, sovrastata da una bassa collinetta erbosa che era alta circa quanto gli alberi stessi; un torrentello non molto ampio attraversava la radura e l’erba che la ricopriva era corta, probabilmente era stata brucata da qualche erbivoro selvatico. La guerriera albina trovò il luogo, immerso nel mormorio della natura selvaggia, estremamente piacevole e decise di fermarsi per riposare un po’: si sbarazzò quindi del peso dell’armatura per sciogliere i muscoli per poi rimanere immobile per alcuni momenti, godendosi la sensazione del sole sulla faccia e una leggera brezza che le faceva ondeggiare i lunghissimi capelli, poi si inginocchiò sulla riva del torrentello, chinandosi in avanti per bere un po’ d’acqua, mentre i suoi occhi individuarono alcune trote che nuotavano placidamente nella corrente…
Fu a quel punto che un saluto colse Seayne completamente alla sprovvista: più per la sorpresa che per lo spavento: la guerriera reagì d’istinto e si mise in guardia, pronta a ghermire chiunque le si fosse avvicinato ma, non appena vide chi le aveva rivolto il saluto e non percependo nessuno Yoki, la ragazza si rilassò e rispose educatamente. Davanti a Seayne, poco lontano dalla base della collinetta, un omino era seduto a terra a gambe incrociate: alto poco più di un metro e mezzo, la sua pelle era molto scura, come se fosse stata esposta al sole per molti anni e i suoi capelli, lunghi oltre le spalle, incanutiti ma tuttora folti nonostante un’incipiente calvizie che lasciava scoperta tutta la parte superiore della suo cranio, spiccavano al confronto con la sua carnagione. Indossava una sorta di tunica o di veste logora e scolorita dagli anni, la quale sembrava eccessivamente ampia per il fisico asciutto dell’omino, che sembrava molto vecchio. Quello che però maggiormente colpì Seayne furono gli occhi azzurri del vecchio: anche se oramai ridotti a due fessure, essi irradiavano come un’aura di pace e serenità e, uniti alla postura dell’uomo, conferivano alla sua figura un’aria placida e quieta.
Dopo alcuni istanti, l’omino rispose in tono gentile e allegro, lieto di avere qualcuno con cui parlare un po’ dopo tanto tempo. Il nome del vecchietto era Tahzay e le disse che, dopo aver vissuto la maggior parte della mia vita sul mare, aveva deciso di ritirarsi lontano da tutto e tutti per meditare e trovare pace. Seayne, incuriosita dai modi gentili dell’omino, reclinò il capo in segno di rispetto nei suoi confronti e poi, sorridendogli, rispose presentandosi a sua volta e ringraziandolo per i suoi modi gentili: infatti le parole dell’uomo, il quale poco dopo lodò l’operato suo e delle sue compagne lasciarono interdetta la guerriera albina la quale, viste le esperienze passate, mai si sarebbe aspettata un’accoglienza del genere da parte di un umano.
Fatte le presentazioni, Tahzay chiese a Seayne la cortesia di pescare per lui un paio di trote dal torrentello in quanto lui era ormai troppo vecchio e le sue mani tremavano troppo per riuscire a prenderle: mossa a pietà dall’umile richiesta, Seayne accettò intuendo anche che tale esercizio si sarebbe rivelato utile anche per lei, quando avrebbe dovrò procurarsi quel poco cibo che le serviva. Dopo alcuni fallimentari tentativi di pescare con le mani, aiutata dai consigli del vecchio, Seayne riuscì a mettere a punto una sua tecnica di pesca con le mani e così, circa mezz’ora dopo, tre grosse trote giacevano sull’erba del prato.
Al tramonto, le trote erano state arrostite a puntino su un bel fuocherello acceso da Tahzay all’interno del suo rifugio: esso era costituito da una piccola spelonca circolare e di profilo leggermente a cupola, che era situata all’interno della collinetta stessa. Il fumo del focolare usciva attraverso un foro scavato dallo stesso Tahzay, all’epoca del suo arrivo, sulla cima rocciosa della spelonca, evitando così di ristagnare all’interno. L’eremita e la guerriera albina mangiarono in silenzio, assaporando quelle trote; una volta finito di mangiare e aver fatto bruciare nel fuoco morente gli ultimi resti dei pesci, entrambi rimasero seduti a fissare le braci le quali, lentamente, andavano spegnendosi…
Ancora una volta fu Tahzay a rompere il silenzio, ringraziando Seayne per il suo gesto gentile e scusandosi con lei nel caso l’avesse distolta da una caccia. La guerriera albina lo rassicurò, affermando che la sua presenza in quel luogo era dovuta al fatto che l’Organizzazione aveva deciso di schierare le guerriere sul territorio, affinché esse fossero più veloci a intervenire quando fosse stato richiesto il loro aiuto e che a lei era toccato in sorte quel territorio e gli confidò che stava cercando un posto dove potersi sistemare in attesa di ordini, ringraziando poi il vecchietto per la gentile accoglienza. Seayne infine provò ad approfittare della gentilezza di Tahzay, chiedendogli alloggio per quella notte. Tahzay, che aveva osservato attentamente Seayne fin dal primo momento che l’aveva vista, fu all’improvviso scosso da alcuni colpi di tosse e Seayne si protese istintivamente verso di lui per aiutarlo e, appoggiandosi a lei, Tahzay riuscì a rimettersi a sedere con le gambe incrociate. Respirando a fatica, il vecchio richiamò l’attenzione della guerriera albina e le disse che poteva fermarsi quanto desiderava, in quanto quel posto non era di nessuno e lui non l’avrebbe occupato ancora per molto tempo in quanto era vecchio e malato.
Il vecchio eremita a quel punto affermò di aver vissuto a lungo e intensamente e di aver dedicato i suoi ultimi anni alla ricerca della pace per la sua anima. Di fronte allo sguardo perplesso della guerriera albina, la quale evidentemente non capiva il significato delle parole del vecchio, Tahzay tirò fuori da sotto la sua veste un cilindro di bambù largo tre dita, sigillato a un’estremità e con un evidente tappo di chiusura sull’altra e glielo porse… Di fronte allo sguardo perplesso di Seayne, Tahzay le spiegò di aver rinvenuto l’oggetto tra le mani di uno scheletro di un vecchio saggio che era vissuto su di un istmo nell’estremo sud: preso dalla curiosità, credendo che dentro ci fosse qualcosa di estremamente prezioso per quell’uomo: lo aprì e scoprì che esso in realtà conteneva dei fogli sui quali vi erano scritti tutti i suoi insegnamenti, vergati come brevi e importanti frasi scritte, me ne sono reso conto poi, per essere facilmente memorizzate, meditate e, se uno vuole, messe in pratica. Esse descrivono una sorta di cammino spirituale, uno stile di vita, una via che se percorsa con costanza e applicazione, mirava a portare chi la seguiva alla pace dello spirito, liberandolo dai tormenti dell’esistenza. Tahzay, inizialmente deluso, non seppe spiegare perché non se ne liberò ma poi, anni dopo, iniziò quasi per caso a leggere quel che c’era scritto in quei fogli e, nonostante l’iniziale scetticismo, alla fine ammise che quegli insegnamenti gli erano stati d’aiuto.
Seayne, ancora dubbiosa e un po’ preoccupata per la salute del vecchietto, gli chiese perché ora volesse lasciare a lei quell’oggetto e perché voleva lasciarle questo posto, dal momento che era malato e di sicuro non poteva mettersi in viaggio. Tahzay rispose che riteneva che, con quegli insegnamenti Seayne avrebbe potuto trovare la pace che la sua anima cercava. Negli anni l’eremita aveva incontrato tre guerriere molto diverse tra loro come carattere ma tutte, senza eccezione alcuna, avevano nei loro sguardi lo stesso dolore che Tahzay vedeva riflesso negli occhi d’argento della guerriera albina! Mentre Tahzay stava per concludere, dicendo che le lasciava quegli scritti in cambio del suo gesto generoso, altri colpi di tosse squassarono il suo fragile corpo. Tahzay si stese a terra, sorretto gentilmente da Seayne. Il vecchio non si accorse o fece finta di non accorgersi di un rivoletto di sangue che gli era colato dal lato destro della bocca…
Nonostante questo, il vecchio ebbe la forza di incoraggiare Seayne a leggere quegli insegnamenti e metterli in pratica senza esitare mai, per quanto potessero sembrare difficili convinto che, alla fine, la ricompensa sarebbe stata grande. Seayne balbettò alcune parole di ringraziamento e, vedendo quel rivoletto di sangue sentì che delle lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi d’argento: non era infatti difficile capire che il buon Tahzay stava morendo. Accortosi del pianto della guerriera, il vecchio cercò di consolarla e di spronarla poi a seguire gli insegnamenti che le lasciava in eredità. Dopo un altro colpo di tosse, oramai con un filo di voce, Tahzay chiese a Seayne un ultimo favore: dopo la sua morte la guerriera avrebbe dovuto bruciare suoi resti su una pira e gettare le ceneri nel ruscello. Questo perché il vecchio eremita avrebbe tanto voluto rivedere il mare un ultima volta, ma era oramai troppo vecchio e stanco per mettermi in viaggio. Però tutti i fiumi arrivano al mare e, se Seayne avesse esaudito la sua richiesta, prima o poi quel che sarebbe rimasto di Tahzay avrebbe raggiunto anch’esso il mare, portatovi dalla corrente. Seayne gli diede la sua parola.
Il mattino dopo, Tahzay non c’era più. Se n’era andato serenamente durante la notte. Seayne andò nel bosco vicino e raccolse della legna con la quale, assieme a paglia e sterpaglie trovate lì attorno, preparò la pira funebre per il vecchio e poi, depostovi sopra il corpo, bardata di tutto punto accese il fuoco, rimanendo a vegliare il falò finché le fiamme non si furono completamente estinte. Quindi raccolse le ceneri rimaste e le gettò nel torrentello, rivolgendo un ultimo saluto a quel gentile amico. In silenzio attese che l’acqua ritornasse limpida e poi la guerriera albina ritornò al rifugio nella collinetta, nel quale aveva deciso alla fine di fermarsi, si tolse l’armatura rimanendo solo con l’uniforme addosso, e si sedette a terra, riflettendo. Seayne cercò di immaginare qualcosa da fare per ingannare l’attesa della prossima missione. Infatti la ricerca di un posto dove stare le serviva anche per mantenere la mente impegnata. Ora che il problema dell’alloggio e del vitto era stato risolto, cosa avrebbe potuto fare per evitare che i suoi ricordi – soprattutto quelli di Stephan - e quella sua sinistra voce interiore tornassero a tormentarla? Fu a quel punto che il suo sguardo cadde sul cilindro di bambù contenente i fogli con gli insegnamenti di Tahzay, rimasto appoggiato a terra e le tornarono in mente le parole del vecchio eremita… I dubbi e le perplessità della guerriera riguardo il contenuto dell’oggetto lasciarono il posto alla curiosità, così Seayne raccolse il cilindro, lo aprì e ne estrasse i fogli che conteneva, cominciando quindi a leggere quello che c’era scritto…
Dopo alcuni giorni dedicati alla lettura di quel manoscritto, Seayne prese l’unica cosa che aveva portato con se da Staph: i resti dell’uniforme che aveva indosso a Trem e a Rabona, macchiata indelebilmente dal sangue suo e del primo Yoma che aveva ucciso da guerriera graduata: uniforme che era per lei la rappresentazione fisica dei suoi più tristi ricordi dalla morte dei suoi genitori e del suo villaggio: la guerriera albina rimase a osservarla in silenzio per alcuni minuti e poi, dopo aver tratto un lungo sospiro decise di seguire gli insegnamenti che Tahzay le aveva lasciato e di metterci tutto il suo impegno, convinta in cuor suo che il giorno nel quale sarebbe riuscita a guardare quella vecchia uniforme senza provare dolore o rabbia, avrebbe capito di aver raggiunto il suo scopo!

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