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[In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
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01-10-2018, 09:55 PM
Messaggio: #20
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RE: [In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
CAPITOLO XIX – RITORNO A CASA
Dopo essere stata promossa a Numero 11 dell’Organizzazione, Seayne venne schierata nel territorio di Pieta, nelle Terre del Nord. Finalmente Seayne tornava a casa! Sin dall’inizio della sua vita da guerriera Seayne covava in sé la speranza di riuscire ad ottenere il Numero 11, non tanto per il rango, cosa della quale le importava poco o nulla, non dipendendo la cosa da lei, quanto per ottenere quel determinato territorio da pattugliare. Così, lieta per lo sviluppo inatteso della situazione, in breve raccolse le sue cose e, dopo aver inciso con il pomo acuminato della sua claymore, su una parete della sua spelonca una scritta sula sua nuova destinazione come indizio se qualcuno fosse venuto a cercarla, in una bella mattinata soleggiata Seayne si mise in cammino verso le Terre del Nord, verso il villaggio nel quale aveva trascorso i primi anni della sua vita. Pur consapevole dello scenario di devastazione che vi avrebbe trovato, la guerriera albina non si perse d’animo: camminò per giorni, senza aver bisogno di chiedere indicazioni. Tuttavia, una volta varcato l’ideale confine delle Terre del Nord, la nuova Numero 11 si concesse una deviazione verso il villaggio di Lore. Col favore delle tenebre: dopo aver pregato davanti alla tomba della sua prima Caposquadra, lieta che la stessa non fosse stata profanata, la guerriera albina si rimise in cammino. Dopo altri giorni di marcia, accompagnati da un cielo terso e da un sole splendente, anche se insufficienti a scaldare l’aria la quale, a dispetto di quelle belle giornate, rimaneva comunque fredda, rinunciando a recarsi a Pieta e dopo aver pernottato in un capanno per cacciatori finalmente, poco prima di mezzogiorno; Seayne arrivò a un bivio da quale, come ben sapeva, prendendo la strada di destra sarebbe in pochi minuti giunta a Edoras, il suo villaggio, mentre l’altra strada conduceva, dopo un’altra ora di cammino, a un passo montano che tutti chiamavano semplicemente: “La Forcella”. Tuttavia, proprio in prossimità del bivio, c’era qualcosa che non andava, qualcosa che mise sul chi vive la guerriera albina. Erano due carri da viaggio, con tanto di telone che li ricopriva, senza traccia di bestie da soma e con uno dei due veicoli rovesciato sul margine della strada; poco distante, in mezzo agli alberi, intravvide tre corpi umani. Avvicinatasi, vide che si trattava di due uomini e una donna, ancora giovani, con i ventri squarciati e vuoti, segno inequivocabile che erano stati aggrediti dagli yoma. Con i sensi all’erta, Seayne si avvicinò con cautela ai due carri e, con sgomento iniziò a percepire delle tracce di yoki, che portavano in direzione di Edoras, il suo villaggio! Nonostante fosse furiosa, la Numero 11 resistette all’impulso di lanciarsi in una caccia immediata, optando per un approccio più prudente, almeno finché non avesse identificato con certezza il o i nemici. Approfittando di un banco di nebbia che stava calando sul villaggio fantasma, Seayne si inoltrò tra le case in rovina: mano a mano che si avvicinava, le tracce che Seayne aveva percepito iniziarono a delinearsi, divenendo poco alla volta cinque emanazioni distinte, con una leggermente più forte delle altre ma tutte ben più deboli, se confrontate con l’aura della guerriera albina. Un sorriso cattivo si schiuse tra le pallide labbra della guerriera, mentre Seayne attendeva che la nebbia calasse totalmente sul suo villaggio e poi, cercando di fare meno rumore possibile, iniziò ad avvicinarsi ai cinque yoma che aveva percepito. A quel punto, estratta lentamente la sua claymore, partì di corsa in direzione del gruppo. In poco tempo, si sbarazzò di tutti loro. Solo a quel punto un sorriso maligno si disegnò sulle sue labbra e la guerriera albina, iniziò a provare soddisfazione. Mai uccidere degli yoma era stato così appagante! Prese i cadaveri degli yoma uno alla volta, trascinandoli in prossimità di un burrone quindi, una volta raggruppati tutti i resti, teste comprese, li scaraventò oltre il bordo, lasciando che fossero gli animali spazzini a prendersi cura delle carcasse, ammesso e non concesso che a loro piacesse la carne degli yoma. All’improvviso un grido sommesso, come se provenisse da lontano, giunse alle orecchie di Seayne, assieme a un rumore, come un insistente bussare, che proveniva da un punto non troppo distante da dove si trovava: anche la voce, una voce di donna, sembrava provenire dalla stessa direzione dalla quale provenivano i colpi. Seayne non ci mise molto a individuare l’edificio dal quale provenivano quelle urla disperate: una piccola stalla per una manciata di pecore, annessa a una casa parzialmente crollata, la cui porta e l’unica finestrella erano state bloccate dall’esterno inchiodandoci sopra delle assi di legno. Non avvertendo nessuna fonte di yoki, a parte qualche debole traccia lasciata probabilmente dagli yoma, la Numero 11 si piazzò direttamente davanti all’uscio e poi con la sua claymore spezzò le assi che bloccavano l’ingresso, spalancando la porta. Dalla piccola costruzione uscì una donna la quale, dall’aspetto, dimostrava di avere forse una mezza dozzina d’anni più di Seayne, con in braccio una bambina che non dimostrava più di cinque o sei anni, i cui occhioni curiosi si puntarono subito sulla figura della guerriera albina. Nonostante i vestiti pesanti e i mantelli da viaggio che entrambe indossavano, le due umane tremavano per il freddo e la paura. La donna, sia fisicamente che nella cura con la quale stringeva a se la piccola, risvegliò in Seayne il ricordo di Nyara, sua madre e, prima che la donna potesse dire o fare qualcosa, fu la guerriera albina, mossa a pietà o comunque da un sentimento legato a un ricordo molto intimo e profondo a prendere l’iniziativa, chiedendo alla donna di seguirla e di non permettere alla bimba di guardarsi troppo in giro affinché non notasse i resti scheletriti di quelli che furono gli abitanti di Edoras che ogni tanto affioravano qui e là tra le erbacce e le rovine; la donna la seguì senza fiatare. Seayne le condusse in quel che rimaneva della locanda “Il Lupo Grigio”, trovando per loro una stanza ancora in condizioni più che accettabili, cercando poi della legna con la quale accesero il fuoco per scaldare le due umane. Fu così che, non appena vide che Seayne si rilassò quando un bel fuocherello scoppiettava nel camino, la donna trovò il coraggio per rivolgere la parola alla guerriera albina, ringraziandola e presentandosi: il suo nome era Ragnhild e sua figlia Freya. La guerriera albina sorrise in risposta alle parole gentili che le erano state rivolte. Le due umane erano prigioniere da tre giorni, erano in viaggio con suo mio marito e una coppia di amici su due carri trainati da cavalli da soma. Provenivano da Pieta e si stavano dirigendo verso La Forcella per raggiungere Buonarroti quando, al bivio, quei cinque mostri li avevanonno attaccato. Ragnhild non ce la fece più a trattenersi e scoppiò in lacrime al ricordo di quanto accaduto, accasciandosi sul letto, mentre Seayne la guardava con la pietà nello sguardo. Forse disturbata dal pianto o dal sobbalzare del letto, la piccola Freya si svegliò, lamentandosi per la fame, mentre sua madre cercava di asciugarsi le lacrime dal viso, probabilmente per non far preoccupare ancora di più la piccola. Seayne decise di cercare qualcosa da mangiare, prima di uscire nuovamente all’esterno. Era tardo pomeriggio e il tramonto sarebbe giunto presto: dove e come procurarsi da mangiare a quell’ora? All’improvviso Seayne ebbe un’idea e si lanciò di corsa sulla strada che portava fuori dal villaggio. L’idea di Seayne era di raggiungere i carri abbandonati perché se qualche predone o qualche animale selvatico non li avessero già depredati, sui carri ci sarebbero dovute essere le provviste per il loro viaggio: aveva ragione. Infatti, raggiunti i carri, la guerriera albina rinvenne in quello rimasto sulle ruote una grossa sacca che conteneva del cibo da viaggio e una bottiglia di liquore, razioni erano sufficienti per qualche giorno. Le due umane attaccarono il cibo con appetito e poi, vedendo la Numero 11 tenersi in disparte, l’invitarono a unirsi a loro: in entrambe Seayne non vide il timore che di solito gli umani nutrivano nei confronti di quelle come lei, ma solo gratitudine. Forse fu quello che spinse Seayne ad accettare; quello e, comunque, un po’ di fame; in fondo era trascorso qualche giorno da quando aveva mangiato per l’ultima volta perciò accettò. Finito di cenare, Seayne iniziò a raccogliere le sue cose, con l’intenzione di uscire per lasciare alle due umane l’alloggio tutto per loro ma, alle sue spalle, la voce di Ragnhild, nella quale risuonò una nota di paura, si fece sentire chiedendole di restare con loro così non avrebbero avuto timore, almeno per quella notte. Sommersa da tristi ricordi Seayne decise di restare con loro, ritirandosi in un angolo per meditare e non disturbare madre e figlia. Dopo un tempo indefinito, qualcosa disturbò la tranquillità della quale Seayne si era ammantata. Qualcosa di caldo le aveva sfiorato le mani che teneva incrociate in grembo ma, forse perché ancora rilassata dalla meditazione o forse perché i suoi sensi appena risvegliati non le trasmettevano segnali di pericolo, Seayne si limitò ad aprire gli occhi trovandosi davanti la piccola Freya in piedi, la quale la stava osservando con molta attenzione. La curiosità in quegli occhi di bambina faceva presagire delle domande, che non tardarono ad arrivare. Furono domande ingenue da una bambina innocente. Seayne sorrise quando la piccola la paragonò a una spettrale Donna delle Nevi, ricordando che anche uno degli yoma temeva che lei lo fosse. La Numero 11 decise di stare al gioco e, sempre sorridente e immobile, rispose a voce bassa alla piccola curiosa, confermandole i suoi sospetti ma ammonendola di non rivelare il segreto, altrimenti lei sarebbe dovuta scomparire: Freya accettò quel patto ma, subito dopo, l’espressione della bimba divenne triste, le sue labbra tremarono e delle lacrime comparvero nei suoi grandi occhi castani quando la piccola chiese a colei che pensava fosse uno spirito del bosco dove fosse il suo papà. Seayne invitò la bambina a seguirla fuori dall’edificio e, mentre la piccola ubbidiva, Seayne si sciolse dalla sua posizione, si alzò in piedi e condusse la piccola fuori dalla locanda. A quel punto la guerriera albina si fermò, scrutando il cielo limpido: trovato quel che cercava, la Numero 11 indicò a Freya Polaris, la Grande Stella del Nord, la regina di tutte le stelle. La Numero 11 raccontò quindi alla piccola una leggenda, nella quale però Seayne credeva fermamente fosse vera, secondo la quale gli spiriti di coloro che muoiono diventano stelle nel cielo, invitando Freya a individuare quella che, secondo lei, era il suo papà. Mentre Freya era impegnava a scrutare il cielo, cercando l’anima di suo padre in quel mare di stelle, Ragnhild era uscita lentamente dalla locanda, andando ad affiancarsi alla guerriera albina e ringraziandola ancora perché, il quel momento, lei non avrebbe saputo come spiegare alla figlia la morte del padre. A un certo punto uno strillo di Freya richiamò l’attenzione delle due donne. La bambina aveva indicato una stella rossa e poi, ancora con le lacrime agli occhi ma sorridendo, la salutò con la manina destra, sicura di star salutando suo padre. Seayne e Ragnhild la lasciarono fare, finché la piccola non mostrò evidenti segni di stanchezza. A quel punto, dopo che la donna ebbe lavato tre bicchieri che aveva con se nella fontana del villaggio, tutte e tre tornarono nella locanda e, mentre Freya si rimetteva a letto senza fare capricci, la guerriera albina rimase a guardarla sprofondare nel sonno, contenta che le sue parole fossero servite a mitigare il dolore di quella bambina. Quando Freya si addormentò, Ragnhild ravvivò il fuoco nel caminetto, poi fece cenno a Seayne di seguirla: perplessa, la guerriera albina lo fece, notando che la donna aveva con se due bicchieri e la bottiglia di liquore che c’era nel sacco delle provviste. La mamma di Freya non andò lontano, sedendosi a terra poco fuori della stanza, in modo tale che l’aria riscaldata dal caminetto mitigasse il freddo del pianerottolo sul quale si aprivano le stanze; la Numero 11 la imitò, sedendosi vicino a lei a gambe incrociate. Ragnhild sistemò a terra i due bicchieri, poi aprì la bottiglia che aveva con sé e versò un paio di dita del liquore in ognuno dei due, porgendone poi uno a Seayne. Mentre lo faceva, Ragnhild, con gli occhi bassi, le raccontò del disastro che aveva colpito Edoras dieci anni prima e concluse chiedendole se lei fosse una sopravvissuta a quella strage, lasciando la guerriera albina senza parole. La donna le sorrise dolcemente, un sorriso che a Seayne ricordò quello di sua madre, mentre Ragnhild concludeva, dicendole che aveva notato la sicurezza con la quale Seayne si muoveva in giro per il villaggio e, dalle fessure della porta dell’ovile, aveva visto con quale rabbia la Numero 11 aveva buttato nel burrone i corpi degli yoma che aveva ucciso. Gli occhi di Seayne si fecero umidi: non aveva mai parlato di quella notte con nessuno, fondamentalmente perché a nessuno, meno che meno alle sue compagne di sventura, era mai importato ma ora, vicino a quella donna così simile a sua madre ma con pochi anni più della Numero 11, tanto da poterla considerare, volendo, una sorella maggiore, Seayne si arrese al dolore. La guerriera albina respirò a fondo e bevve d’un soffio il contenuto del bicchiere, avendo cura di attivare la sua capacità di resistere agli effetti dannosi del liquore e, mentre sentiva l’alcool bruciarle leggermente in gola, raccontò a Ragnhild la sua storia. Alla fine, le braccia calde di Ragnhild strinsero dolcemente le spalle di Seayne in un gesto carico d’affetto e gratitudine e l’autocontrollo della guerriera albina si spezzò, mentre quel gesto spontaneo e inaspettato esorcizzava l’incubo di dieci anni prima, il giorno in cui Seayne la bambina umana morì e Seayne la mezza demone nacque, sciogliendo quel gelo che da una decade le attanagliava il cuore e facendolo scivolare via assieme alle lacrime calde e copiose che Seayne versò, abbracciata a quella donna che cercava di consolarla così come avrebbe fatto con sua figlia o con una sorella minore, ripagando in tal modo il debito di gratitudine che aveva nei confronti della guerriera albina. Il mattino seguente, Seayne si ritrovò a fare il punto della situazione con Ragnhild. La donna decise di tornare dai suoi parenti a Pieta e allora Seayne, indossata l’armatura e presa con se la sua claymore, sinceratasi che non vi fossero pericoli in giro, si diresse fuori da Edoras, fino al punto dove erano rimasti i carri. Grazie a degli attrezzi invenuti nei carri, Seayne seppellì i tre corpi i quali, stranamente, a parte le mutilazioni inflitte dagli yoma, sembravano essere stati risparmiati dagli animali spazzini e poi, radunato sul carro rimasto sulle ruote tutto quello che valeva la pena salvare, compresa una bambola di pezza che sicuramente era di Freya, Seayne trascinò il carro fino al paese. Quando ci arrivò, Ragnhild le riferì che aveva udito il nitrito di alcuni cavalli. Credendo che fossero i suoi, le chiese il suo aiuto per recuperarli e Seayne, scherzando col lei, accettò. Non fu difficile, quel pomeriggio, ritrovare due dei quattro i cavalli che avevano trainato i carri. Sulla via del ritorno, Seayne ne approfittò per mostrare a Freya alcuni dei “posti segreti” che aveva scoperto quand’era bambina, felice di poter condividere quei momenti con la piccola, quasi volesse in quel modo lasciarle in eredità i ricordi di quello che era stata e che non avrebbe potuto essere… mai più. Nessun pericolo minacciò il gruppetto e, per l’ora di cena, i due cavalli sopravvissuti erano stati alloggiati nella stalla del Lupo Grigio. Ancora una volta, dopo aver atteso che Freya si addormentasse con la sua bambola stretta tra le braccia, Ragnhild e Seayne si appartarono, sedendosi nuovamente subito fuori dalla stanza della locanda con la bottiglia di liquore e lì, la donna e la mezza demone presero commiato, ringraziandosi vicendevolmente per quanto avevano fatto l’una per l’altra. Nonostante le offerte d’aiuto da parte di Ragnhild, Seayne chiese per sé solo gli attrezzi, un mantello e un po’ di cibo e disse all’amica di raccontare liberamente quant’era successo, segretamente sperando che il sapere della sua presenza a Edoras scoraggiasse la gente dal ficcare il naso da quelle parti. Il mattino dopo, di buon’ora, mentre Ragnhild andava a prendere i cavalli da attaccare al carro, la guerriera albina si prese un momento per salutare Freya, triste per l’imminente separazione. La Numero 11 poi sollevò la bambina e la mise a sedere sulla cassetta del carro e, dopo averle arruffato i capelli, si allontanò di alcuni passi, appartandosi con Ragnhild la quale, come prima cosa, incurante dell’armatura e della claymore che pendeva dalla schiena della sua salvatrice, abbracciò la guerriera albina come fosse una sorella, invitandola a cercarla a Pieta se mai Seayne fosse stata nel bisogno, per poi salire sul carro e avviarsi con esso lungo la strada, mentre Freya gridava e agitava una manina in segno di saluto finché il carro prese una svolta e scomparve alla vista di Seayne, che rimase sola, in piedi, al limitare del villaggio di Edoras. I giorni che seguirono furono molto impegnativi per Seayne la quale si dedicò al compito che si era prefissa dal giorno nel quale aveva saputo che le guerriere come lei sarebbero state dislocate sul campo: dare sepoltura ai suoi concittadini! Per giorni la guerriera recuperò le ossa di coloro che furono i suoi abitanti, per ricomporle in uno spazio della miniera che aveva deciso di trasformare in una cripta. Per ultimi, Seayne recuperò quel che restava dei suoi genitori, mentre in uno sfogo di rabbia, grazie alla forza del suo corpo ibrido, fece a pezzi le ossa degli yoma che avevano sterminato il villaggio, prima di gettarne i frammenti nello stesso burrone dove aveva lanciato i corpi dei demoni che avevano prese prigioniere Ragnhild e Freya. Alla fine di una settimana di duro lavoro, quando fu sicura di aver finito, Seayne si raccolse in preghiera davanti all’ingresso della cripta che aveva ricavato all’interno della miniera e poi, alla fine, utilizzando “Gùrthang”, la sua tecnica, fece crollare parte della volta sopra l’ingresso della camera mortuaria, sigillandola e seppellendo i resti al suo interno. Ripresasi dallo sforzo e ricordando un’altra leggenda del Grande Nord, come quella che le aveva ispirato il nome della sua tecnica, usando il pomo acuminato della sua claymore, Seayne incise sopra l’ingresso della miniera le parole: La via è chiusa. Fu fatta da coloro che sono Morti e i Morti la custodiscono. Fino a quando giungerà l’ora Sperando che superstizione popolare, paura degli spiriti e la consapevolezza della presenza di una Claymore a Edoras, motivo per il quale aveva chiesto a Ragnhild di raccontare quanto era successo, fossero sufficienti dal dissuadere chiunque a tornare a cercare l’oro da quelle parti e a profanare la tomba dei suoi compaesani. Soddisfatta della sua opera, Seayne iniziò a pensare a come sistemarsi all’interno della miniera. Quando ebbe trovato una soluzione, Seayne ebbe l’impressione che la vicinanza al luogo di sepoltura dei suoi cari e compaesani le donasse una pace e una tranquillità che, almeno in quel momento, ottenebravano anche la sofferenza per la separazione da Stephan. Mentre meditava, scivolando lentamente verso il suo consueto stato di enstasi, la guerriera albina ebbe la sensazione di udire la voce dei suoi morti che le sussurravano in coro, ringraziandola per aver dato loro la pace di una degna sepoltura. I am the one, the only one! I am the god of kingdom come! Gimme the prize!
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