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[In Missione] Scheda di Semiramide (DarkGreen)
21-09-2012, 04:44 PM (Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 17-07-2014 03:46 PM da Kelsier.)
Messaggio: #1
[In Missione] Scheda di Semiramide (DarkGreen)
Nome: Semiramide

Anni: 17

Altezza: 1.73 m

Peso: 56 kg

Arto dominante: Sinistro

Tipo: Difesa

Profilo fisico: Un normale corpo da combattente, snello ma non tanto agile. Schiena lievemente curvata a causa di innumerevoli lavori massacranti che hanno caratterizzato intensamente la sua infanzia e parte della sua adolescenza. I capelli sono di un biondo chiaro, ma non tendente al bianco. Una piccola frangia al di sopra delle sopracciglia attraversa la fronte fino a giungere a due lunghi ciuffi di capelli che si accostano ai lati del viso, accanto alle tempie fino a metà collo, mentre di dietro si forma un caschetto che termina a metà nuca, lasciando rasa la parte sottostante. Il verde smeraldo delle sue iridi, ormai andato, viene sostituito dal solito color argento. Le palpebre inferiori hanno sfumature rossastre sin dalla nascita, ma non se ne sa il motivo. Naso dritto (eccetto una leggerissima rialzatura sulla punta). Labbra carnose e mento un po’ squadrato. Mani grandi, piene di calli, sfruttate dalla fatica e dal lavoro passato nella sua vita da essere umano, ma sempre pronte ad afferrare la spada e a proteggere.

Profilo psicologico: Per quanto a primo impatto possa sembrare dura e grossolana, Semiramide è una persona dotata di gran cuore. Tende a nascondere la sua sensibilità dietro una rigida maschera imposta dalla propria psiche prematura, segnata dal duro destino che l’ha condotta ad essere una guerriera. È determinata, ma allo stesso tempo docile. Ha un forte senso di rispetto per coloro che sono superiori a lei e obbedisce a qualsiasi comando che non sfiori la sua sensibilità.
Trascorre la maggior parte del suo tempo in solitudine, sia per abitudine, sia per contemplare il culto del silenzio. Non per questo, però, non apprezza la compagnia.
Attualmente, però, il suo isolamento dalle altre compagne, che si dimostri con un’apparente indifferenza nei loro confronti o con una totale distanza fisica, la induce a lunghe fasi di riflessione, scandite da una paranoia senza fine che domina interamente il suo animo. Pilastro portante di questa palese negatività, è la paura di perdere il controllo della ragione e risvegliarsi.
Per quanto la voglia di vendetta arda nelle sue membra, ha deciso di diventare una combattente di difesa, piuttosto che d’attacco. La sua non sembrante pacatezza l’ha condotta a scegliere una nuova vita non solamente all’insegna dello sterminio degli yoma, ma anche all’autodifesa. La sua coscienza è dominata da numerosi sensi di colpa dovuti per via della morte improvvisa della sua famiglia,
di alcune guerriere decedute (di cui si ritiene esserne la causa) nella battaglia di Wortham, e da un’insaziabile voglia di sfogarsi, vendicarsi e liberarsi dei demoni completi.
Dopo il risveglio, il suo carattere ha assunto delle sfumature completamente differenti da quelle che prima coloravano il suo triste e tentennante ego.
Nessun risentimento le rende, oramai, difficile vivere, né l’insicurezza si fa padrona di lei (o così crede).
Attualmente, le sue emozioni sono in uno stato più che confusionale, un vortice di sensazioni nuove e apparentemente positive e rassicuranti. Prova dentro di sé un oceano di sentimenti amorevoli, quali la gioia, la soddisfazione, il delirio, con un forte desiderio di amare e sentirsi amata, proteggere ed essere protetta, conoscere ed essere conosciuta. Un’euforica sociopatia che alimenta anche il più turpe dei suoi scopi : nutrirsi delle carni di coloro che considererà “suoi amici”, come per conservare dentro (letteralmente “dentro”) il loro caloroso ricordo e il loro benvolere.
La sua determinata e folle sicurezza le impedisce di comprendere il vero stato delle cose : non ha minimamente idea che il risveglio sia avvenuto, né si rende conto della forma bestiale che ha assunto. Anzi, pensa che, con la fine delle sue paure, sia ritornata figlia dell’amata umanità...


Background: Nacque in un piccolo paesino di campagna dominato dai pascoli e dai verdi prati.
Era la prima di cinque figli. Le fu dato il nome di Semiramide. Le sue palpebre sottostanti erano tinte di un rosa più marcato rispetto al colore della pelle, ma il motivo di ciò non si conobbe mai. Trascorse la sua infanzia lì, tra le calde terre del Sud. Dopo la nascita dei successivi fratelli, subì il dolore della morte dei suoi genitori, ma non ne seppe mai la causa. Perciò dovette impegnarsi a cercarsi un’occupazione per mandare avanti la famiglia, da sola. Malgrado la sua tenera età, fu impegnata in campo lavorativo come coltivatrice, zappatrice, domestica e a volte sarta. Tutti lavori le si addicevano, anche per via delle sue mani stranamente più grandi di quelle di una normale ragazzina.
Crebbe in altezza in età ancora precoce, e ciò fece si che aumentasse il suo carico di lavoro. Tutti gli altri fratelli e sorelle impararono a leggere ed a scrivere, mentre Semiramide rimase quasi analfabeta. Nonostante questo, non li odiava, anche se provava qualche piccolo risentimento di disuguaglianza e d’ingiustizia. Non aveva mai contestato nulla in proposito, ma attendeva con impazienza di poter anche lei un giorno essere intellettuale come il resto della famiglia. Teneva molto ai suoi fratelli, ma allo stesso tempo li invidiava. Il legame più forte era quello con la più piccola delle sorelle, Clelia, che, quando poteva, l’aiutava a compiere le faccende che le erano assegnate.
Man mano che gli anni passavano, la fatica aumentava e, giunta la soglia della sua preadolescenza, la colonna vertebrale iniziò a chinarsi. Questo fu dovuto ai carichi pesanti di fieno o di altre cose, tipo ortaggi, che portava quotidianamente sulle spalle e per il motivo di stare quasi sempre curvata a raccogliere quel che era coltivavo, a pulire ed a sollevare enormi sovrappesi. Quando aveva qualche attimo di tregua, una dei suoi passatempi più graditi era inseguire i colombi, spesso insieme a Clelia.
Gettarsi a corpo morto sulla morbida erba dei pascoli nei pressi del villaggio; erba che si confondeva con i suoi occhi verdi come essa. Saltare, nel disperato ma pieno di voglia tentativo di afferrare il pennuto che continuava a volare, e poi ricadere a terra; ascoltare il vento che scompigliava i non medio-lunghi capelli castani, osservando il cielo oramai ricoperto di nuvole grigiastre, per poi correre all’impazzata onde evitare di rimanere all’aperto, sotto l’appena arrivata pioggia. Finiva sempre col ritornare a casa zuppa d’acqua e raffreddata. Sebbene influenzata ed indolenzita, doveva ugualmente continuare a lavorare.
Non doveva far mancare nulla alla sua famiglia e, soprattutto, non doveva farne perdere l’onore.
Alla fine giunse alla più delicata età. Ormai aveva imparato il mestiere fin troppo bene e quasi nulla le sembrava massacrante come in passato. Per la scarsa cura da allergie e da insetti, le sue palpebre divennero ancora più rosee di quanto fossero già, fino a raggiungere un colore simile al granata.
Pur essendo ancora giovincella, le vene iniziavano a marcarsi più evidentemente sulle mani e sugli altri arti. In cuor suo però divampava sempre di più la voglia di farsi valere anche in altri campi, oltre a quelli contadini. Nel frattempo, nell’altra parte del paesino, correva voce che ultimamente numerose persone venivano ritrovate smembrate in casa o in luoghi non pubblici. Diversi giorni dopo si scoprì che il colpevole di tali orrori era uno yoma, ossia un divoratore di carni umane. La notizia giunse fino a casa di Semiramide , che lasciò i campi per un certo periodo di tempo, per evitare rischi. Ciò non rese più possibile l’occupazione della ragazza. Viste le circostanze, arrivò finalmente il giorno in cui, prendendo in considerazione il fatto che non avrebbe potuto compiere i suoi soliti mestieri per un certo periodo, la ragazza decise di avvalersi, con l’aiuto dei fratelli, dell’insegnamento della lettura e della scrittura. Era troppo bello per essere vero. Presto le provviste si finirono e dovette per forza riprendere a lavorare, per evitare di patire la fame.
Aveva imparato a leggere appena tre o quattro parole. Molti proprietari di terre in cui la ragazza era impiegata abbandonarono il villaggio, e Semiramide fu costretta a lavorare per degli extra in modo da rimediare alla perdita di quelle (seppur misere) paghe indispensabili al mantenimento della famiglia. Lavorava dalla mattina alla tarda sera, assaporando il sapore della stanchezza fisica e mentale.
Le fu chiesto un giorno di poter lavorare fino alla notte. E lì ci fu la svolta tragica. Soleva lasciare sempre a casa i fratelli e le sorelle durante quel periodo, al fine di evitare pericoli. E così fu pure quel giorno.
Ritornò a casa verso le prime ore dell’alba. Era sfinita, quasi morta. Si sentiva le vene esplodere, le carni refrigerarsi all’aria fresca del mattino d’inverno e le ossa rompersi. Zoppicava per la strada, inconsapevole di quel che l’attendeva. Con un sforzo bussò alla porta d’ingresso. Ma nessuno aprì.
Ci riprovò altre due o tre volte e dopo di che, con un ultimo e disperato sforzo, si fiondò contro la porta, spalancandola completamente. E percepì il vuoto. Il cuore interruppe il suo normale ritmo cardiaco per qualche istante. Iniziò a sudare freddo. Davanti alla sua vista appariva un atmosfera cupa. I deboli raggi del sole illuminavano le pareti decorate dal sangue, frammenti di carne che pareva ancora viva ornavano il pavimento, qualche arto era deposto disordinatamente in qualche angolo e l’inquietante quiete faceva da sottofondo. Sul tavolo, un piccolo corpicino arrotolato su se stesso, in fase di un riposo senza fine.
Si accasciò a terra senza dire una parola e sollevò gli occhi al soffitto. Ora voleva anche lei poter riposare, senza più svegliarsi, proprio come la sua amata sorella.
Rimase due o tre giorni senza mangiare né bere, seduta in un angolo, con la testa chinata da un lato e con gli occhi quasi continuamente sbarrati, a fissare il vuoto, ad ascoltare la melodia del vuoto, ad ospitare il vuoto. E si addormentò. Ricorda di aver visto un volto nero di fronte a lei, prima di perdere i sensi, e si sentì sollevata in aria. Chissà, forse stava ritornando a casa …
Si svegliò dopo non tanto tempo. Era tra le braccia di qualcuno. Ma il calore trasmesso da quel corpo non le trasmetteva amore e sicurezza, anzi, sembrava freddo.
“..Do..Dove sono? … Cle..lia?” disse socchiudendo gli stanchi occhi. Ma una mano glieli coprì. “Shhh, dormi ancora un po’.. presto troverai un nuovo mondo.” Cullata dall'inquietante voce si riaddormento, per poi risvegliarsi in una nuova vita.

Profilo Fisico Forma Risvegliata: È una creatura mostruosa, dal corpo mastodontico e curvato da una grossa gobba.
Si muove a quattro zampe. Nella sua bestiale fisionomia persiste una grande disparità di lunghezza tra gli arti superiori (nettamente più estesi) e quelli inferiori.
Raggiunge i cinque metri di altezza, spesso quasi dimezzati a causa della sua postura non eretta.
La pelle, ad eccezione degli spazi non rivestiti, ha un colore brunastro.
Il capo è adornato da una folta chioma bionda, somigliante a quella di un leone, ma che riporta alla mente anche dei raggi di sole, stilizzati; entrambe le peculiarità stanno a significare l’acquistata libertà, la rinascita e il potere acquisito.
Gli occhi, d’oro, sembrano lanciare un’aura di malinconia, accentuata dalle immancabili palpebre rosse e ancor più gonfie di prima. Sopra di essi, delle folte ciglia/sopracciglia si elevano raggruppate in tre ciuffi.
Dagli zigomi partono due duri legamenti che si ricongiungono alla mandibola.
Permane il labbro superiore, sotto il quale sporgono le gengive, con denti insolitamente umani. Situazione diversa spetta alla parte inferiore, da cui s’innalzano due lunghi canini a sciabola.
Le guance sono vuote, scuoiate, che lasciano in evidenza la rimanente dentatura e la mandibola.
Anche il collo è nudo, con tre vertebre e muscoli del collo ben visibili.
Sotto le clavicole, si fa spazio la gabbia toracica, sproporzionatamente gigante, spoglia di ogni genere di rivestimento, eccezion fatta per gli strati di muscoli intercostali e i seni, legati al costato e sostenuti da alcuni lembi di carne ricongiunti tra lo sterno e le clavicole.
Grossi e vigorosi sono gli avambracci, riempiti da robuste vene marcate in superficie; le braccia sono più magre e prolungate, terminanti con delle mani molto grandi.
Una loro caratteristica è l’essere dotati di un certo piumaggio, sparso a chiazze poco regolari. Ricordano la livrea delle colombe, uccelli ai quali la ragazza, durante i tempi in cui era bambina, era affezionata. Esso è un apparente richiamo alle sue premure passate, a quella morbidezza insopportabile con cui riempiva, soffocava i suoi pensieri e azioni più sinceri.
Gli addominali sono ben coriacei, così come le cosce. Le gambe hanno l’anatomia tipica delle zampe degli animali selvatici.
Dietro, il suo aspetto non ha molte particolarità differenti, tranne per la colonna vertebrale che, come il torace, è senza involucro.
Nella sua forma umana mantiene la solita e stramba pettinatura che la caratterizzò da guerriera, con la sola differenza del colore che, da biondo passa al castano naturale, mentre gli occhi da argentati divengono verdi smeraldo.
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