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[In Missione] Scheda di Angelica [La X di Miria]
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23-02-2014, 05:31 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 17-09-2019 04:33 PM da La X di Miria.)
Messaggio: #1
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[In Missione] Scheda di Angelica [La X di Miria]
Nome: Angelica
Anni: 18 Altezza: 1.72 m Peso: 60 kg Arto Dominante: Destro Tipologia: Difesa Avatar: Simbolo: Abilità e Tecniche apprese: - Addestramento Sperimentale [Abilità Innata] Assegnabile solo a Guerriere di Difesa. La Guerriera da Novizia fu scelta per ricevere un addestramento sperimentale, diverso da quello delle sue compagne. Il risultato consiste nella sua esclusiva capacità di poter apprendere Tecniche a dispetto della sua natura. Profilo Fisico: I capelli scivolano lisci fino alle spalle, gli occhi penetranti sono messi in risalto dalla linea decisa delle sopracciglia e dalla fitta corona delle ciglia. Il naso è dritto, con la punta rivolta verso l'alto. Labbra morbide e rosse sbocciano sul bianco incarnato del volto. Le spalle si sviluppano ben dritte, con le scapole e i muscoli vigorosi del dorso. Il seno è poco pronunciato, appiattito da fasce sotto la divisa per evitare fastidi negli scontri. Segue il ventre ben disegnato dalla curva dei fianchi e dagli addominali asciutti. Le articolazioni sono flessuose e dalla muscolatura nervosa, delineata sotto la divisa. Le mani sono delicate ma nel contempo salde sulla spada, i piedi leggiadri ma capaci di scatti decisi. Profilo Psicologico: Se fosse possibile descriverla al meglio con un solo aggettivo, quello sarebbe di certo ”flessibile”. Così come è flessibile nel corpo, lo è anche nell'indole: si adatta ad ogni situazione, il suo modo di pensare la spinge a considerare ogni possibilità e a tenersi aperta ogni strada, così da prendere la decisione migliore. Perciò ammette i compromessi, purché ragionevoli. Impara a conoscere gli altri semplicemente osservandoli e studia le situazioni allo stesso modo, cercando di raggiungere l'obiettivo con la minima fatica e la massima efficacia. Ciò che le sta più a cuore è la calma: odia tutti i tipi di “agitatori”, gli irascibili, i loquaci, i paranoici, i lamentosi e così via. Spesso è ben disposta a porsi da intermediaria tra due parti pur di ritrovare la tranquillità; viceversa prende in simpatia coloro che non la turbano. Detesta i brutti ricordi, specie quelli con suo padre, la agitano e cerca sempre di respingerli. Si esprime in maniera corretta e si adira molto raramente: ama vedere le cose con ottimismo. L'Organizzazione è un'istituzione necessaria al raggiungimento della pace, perciò le è fedele e s'impegna con entusiasmo nella lotta agli Yoma. La sua flessibilità mentale deriva dal suo grande amore per la tranquillità, impossibile da raggiungere con un'indole poco propensa al compromesso e dalle posizioni assolutistiche; di conseguenza non coltiva grandi ideali né forti passioni, ma ragiona e decide in funzione del suo unico punto fermo: la pace, sacrificabile solo per raggiungerne una maggiore. Dopo essere divenuta una guerriera ed aver preso parte a delle missioni ufficiali, il suo animo è andato via via irrigidendosi a causa di nuove preoccupazioni e numerose responsabilità, dovute alle aspettative che aveva riguardo se stessa in qualità di guerriera, al relazionarsi tra compagne e al ruolo di caposquadra che ha rivestito in due missioni. Tutto ciò ha avuto come conseguenza il suo focalizzarsi sulla ricerca di ordine e stabilità, la quale ha messo in secondo piano l'idea di una serena ricerca di pace e quieto vivere, che prima l'animava. L'incontro destabilizzante con Samara ha avuto però l'effetto di incrinare questa sua rigida prospettiva, facendole riassaporare per un istante la leggerezza perduta e ponendosi, forse, come inizio di una nuova evoluzione personale. Storia Personale: Nacque in una tiepida notte d'inverno, su di un soffice letto di morte. Suo padre, scosso dalla perdita della moglie, la custodì come il più sacro dei segreti: la chiamò Angelica e la rinchiuse negli alloggi più alti della casa. Per il suo bene! In un mondo di serpi non c'era spazio per un uccellino fragile come lei! Tuttavia, gli piangeva il cuore nel vederla, anno dopo anno, magra e pallida, abbandonata sul letto, curva sui libri a sfogare la sua voglia di evadere, in lacrime mentre fuori le voci gioiose dei ragazzi si rincorrevano l'un l'altra. Quando vedeva ciò, dallo spioncino della porta, gli veniva un groppo proprio sotto lo stomaco; quasi quasi la liberava, magari per il suo compleanno, per una volta che vuoi che succeda? Ma poi avvertiva quel formicolio, quell'eccitazione che gli procurava lo schiocco della serratura, dopo averle dato la buona notte. E se poi volava via? E se poi le torcevano una zampetta o le piegavano un'ala? O peggio, se la mettevano contro di lui? Lo sapeva, lo sapeva che Cesar aveva in mente qualcosa, voleva portargli via il suo denaro, i suoi affari, la casa, la sua piccola, tutto! Doveva liberarsi di lui, solo che ora ne aveva così bisogno: mandava avanti gli affari, dirigeva la casa, si occupava di tutto. E lui? Che cosa faceva lui? Be', ora era malato, non faceva molto, ma rimaneva pur sempre il padrone! Che Cesar si prendesse tutto per ora! Lui avrebbe difeso sua figlia e intanto si sarebbe rimesso: stava migliorando! I servi non li azzannava più e parlava persino senza sbavarsi addosso. Sì, doveva solo resistere, e poi gli avrebbe mangiato il cuore, a quel bastardo. Era da quando si era alzata che una nuova energia le scorreva in corpo, come un presentimento, e difatti qualcuno bussò alla sua stanza. Atterrita, Angelica si nascose sotto le coperte. Suo padre non bussava mai. Chi era così sciocco da entrare a rischio della vita? La serratura saltò, trattenne il respiro finché non comparve una faccia da vecchio: disse di chiamarsi Cesar, di non essere spaventata, che suo padre aveva avuto un colpo al cuore, e che gli aveva ordinato di prendersi cura di lei. Quel lampo negli occhi, la piega dura della bocca, la postura rigida le comunicarono inflessibilità, rigore, ambizione; lo sguardo fermo non mostrava paura. L'afferrò per un braccio e non appena la vide, Angelica quasi svenne. Tutto quello che le disse fu “vieni”. Non avrebbe mai creduto di vivere in una casa così grande: poter uscire in giardino, poi, fu come toccare un sogno. Sotto gli occhi sorpresi della servitù, mosse i primi passi sull'erba, inspirò l'aria pulsante dell'esterno, abbracciò il panorama con gli occhi, così sterminato che la sua mente non poté sopportarlo. Si risvegliò al tramonto, in un letto che non era il suo. Accanto a lei c'era una donna dai capelli chiari e con occhi nerissimi, inquietanti. Disse di chiamarsi Rebecca, che Cesar l'aveva incaricata di occuparsi di lei: c'era qualcosa di oscuro in quella donna, qualcosa che aveva anche suo padre. Ma nonostante la prima diffidenza, Angelica finì per affezionarsi a quella donna, così taciturna e paziente, che rispondeva a tutte le sue domande, faceva tutto ciò che le chiedeva. Aveva lo sguardo assente, non parlava mai di sé e spesso si portava le ginocchia al petto: se fosse solo una persona chiusa, o se soffrisse per qualcosa Angelica non lo capì mai. Dormivano nella stessa stanza, solo che lei lo faceva in modo buffo, seduta a terra e appoggiata al muro: chissà come poteva stare comoda. Anche quella notte Rebecca si era rannicchiata contro il muro e Angelica, sentendo una mano sulla fronte, pensò fosse lei. Ma quando socchiuse gli occhi, la mano si serrò sulla sua gola e parole confuse gorgogliarono dall'ombra “Perdonami, perdonami Angelica...uccidila, uccidila... no, non voglio!”. Suo padre guaiva, frignava. “Non voglio... mia figlia...” Caricò il braccio e... si trafisse il ventre. Grida acutissime le forarono i timpani, suo padre si scavò l'addome, estrasse le viscere e se le strappò a morsi, mentre fiumi di sangue inondavano il letto. Una spada gli sbucò dal cranio e mise fine allo spettacolo. Rebecca fissava il corpo, stringendo una spada grande quanto lei: fu l'ultima volta che Angelica la vide. Dopo quella notte si ritrovò sola in una casa enorme, di cui non conosceva niente e nessuno, e che ora era sua, assieme a tutti i beni di suo padre. Non immaginava cosa avesse ereditato, né come lo avrebbe gestito, e non ne ebbe nemmeno bisogno: giorni dopo, un uomo vestito di nero bussò alla porta, disse che era venuto per la ricompensa, “Quale ricompensa?” Ma Cesar gli aveva già messo in mano una bisaccia traboccante di monete. Guardò lei, e così fece anche l'uomo in nero. “È tua”. L'uomo l'agguantò per un braccio, la trascinò con una forza incredibile, a nulla valsero le sue preghiere; l'ultima cosa che vide fu il trionfo sfolgorare negli occhi di Cesar. |
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24-02-2014, 11:44 PM
Messaggio: #2
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RE: [Nuova] Scheda di Angelica [La X di Miria]
SCHEDA APPROVATA
A breve ti sarà assegnato un test. Nel frattempo provvedi ad assegnare i punti parametro nell'apposito GdR CP (lo trovi fra le opzioni in alto).
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13-07-2014, 03:18 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 05-08-2015 11:07 PM da La X di Miria.)
Messaggio: #3
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RE: [In Missione] Scheda di Angelica [La X di Miria]
Capitolo I: Braveheart
Mi è spesso capitato di immaginare la mia prima missione: pensavo a come sarebbe stata, quali prove avrei dovuto superare, se fossi mai diventata una guerriera... . Stando a certe mie compagne, non era nulla di terribile, impegnativa certo, ma non di più. Altre tornavano sconvolte, spesso con grandi cicatrici he testimoniavano una lotta furibonda. Altre invece non tornavano affatto. In quanto a me, c'erano giorni in cui guardavo con cuor leggero alla mia prima missione, altri invece in cui speravo non dovessi mai affrontarla. Ora che l'ho vissuta posso dire di essermi tolta un gran peso dal cuore. Non è cominciata bene: mi ero appena addormentata quando qual nano mi scaraventò giù dal letto. Era così orrendo, aveva modi così bruschi... non erano offensive solo le sue parole ma tutto il suo corpo, il suo animo. Insopportabile. Mi fece ricevere da un uomo anziano con la curiosa mania di recitare in versi. La missione era in apparenza semplice: ricondurre alla ragione il capo di un villaggio che si rifiutava di pagare il compenso, dopo che una guerriera aveva ucciso lo Yoma. Non sembrava ci fosse bisogno della forza, tuttavia decisi di prendere la spada. Era importante che quella gente mi prendesse sul serio.
Ci misi un giorno per raggiungere Stir: una serie di casette tenute insieme da una palizzata. Era questo il villaggio che aveva sfidato l'Organizzazione? Doveva essere gente con una bella faccia tosta e quando vidi il loro capo ebbi comferma dei miei sospetti: un giovinetto sorridente, per nulla intimidito dalla mia presenza. Ma dalla mia spada sì. Riuscii a portarla dentro nonostante mi avesse consigliata di lasciarla fuori: il fatto era che non avevo intenzione di fallire come il primo emissario e se quella gente avesse avuto intenzioni ostili, la vista della spada li avrebbe dissuasi. Però era comunque rischioso: se gli abitanti si fossero sentiti troppo minacciati e avessero attaccato in gruppo, non avrei potuto tenerli a bada tutti insieme. Per questo mi sentii sollevata quando il re mi fece entrare in una casa. Mi accorsi che era molto diffidente per via della mia insistenza sulla spada e per il mio tono scostante, per cui decisi di mostrarmi più aperta. In sostanza il discorso ruotò sempre attorno allo stesso problema: il denaro. Cercai in ogni modo di convincerlo a pagare, dimostrandogli quanto sarebbe stato dannoso per tutti abbassare i compensi, consigliandogli di chiedere un prestito ad altri vllaggi, invitandolo persino a discutere con i miei superiori. Tutto si rivelò vano: per ogni soluzione che proponevo ritornavamo sempre al punto di partenza.
La discussione parve risolversi quando decise di rivelarmi come lui intendeva risolvere la questione, ma non gli fu permesso continuare. Un uomo fece irruzione e sbraitò che un esercito di Yoma stava per piombare sul villaggio.
Il re radunò i suoi uomini nella piazza e io decisi di camuffarmi come uno di loro, così da sorprendere gli Yoma e da risollevare l'animo dei cittadini. Il primo Yoma lo affrontai in un vicolo: provai a coglierlo di sorpresa ma senza riuscirci. Feci finta di darmi alla fuga e quello, venendomi dietro, firmò la sua condanna, morendo con un coltello in un occhio e un'ascia nel cranio. Col secondo non fu più semplice, ma questa volta potei contare sull'aiuto di alcuni cittadini. Dopo diversi tentativi, riuscii a colpire lo Yoma dietro la testa e un cittadino lo finì, trafiggendolo alla gola. Ebbi appena il tempo di riprendere fiato che subito vidi il re in pericolo: lo liberai, scaraventando con un calcio lo Yoma che lo bloccava a terra e lui lo uccise.
Ormai erano rimasti solo tre Yoma e decisi che era inutile mantenere il travestimento: l'ascia si era incastrata più volte ed era il momento di finire questa lotta alla svelta.
Recuperata la spada mi fiondai contro lo Yoma più a destra, lasciando al re quello a sinistra. L'idea era di eliminare poi quello al centro con più facilità. Fu una lotta dura, ma alla fine inchiodai la spada nella testa dello Yoma. La stanchezza iniziava a farsi sentire, solo ora mi rendevo conto di tutti gli sforzi che avevo compiuto, sforzi che nonostante tutto non bastarono per salvare il re. L'ultimo Yoma gli squarciò la gola prima che potessi raggiungerlo: liberai il mio Yoki e mi sentii preda di un'energia estranea, prepotente, contro la quale mi rivoltai con tutta me stessa. Ancora adesso ripensando a quello sconvolgimento, a quella scena, a quel senso di impotenza provo un'angoscia terribile.
La mia spada finì lo Yoma un attimo dopo che lui ebbe ucciso il re, poi dovetti svenire, perché mi risvegliai in una casa con un gruppo di donne che si accertava sulle mie condizioni. Conobbi il fratello del re, il quale mi promise che avrebbero pagato ma non volle rivelarmi nulla riguardo ai piani del re. La sua espressione triste mi fece sentire fuori posto, davanti a quello sconforto mi sentivo un'idiota per essere venuta lì a pretendere del denaro da gente così povera, che ora aveva perso anche la sua guida.
Ma per quanto possa essere difficile, l'Organizzazione deve continuare a vivere: solo grazie a lei esiste la speranza che episodi simili non accadano più, ed è mia intenzione impegnarmi per portare a termine questo progetto.
Non riuscii a rimanere nel villaggio un minuto di più, mi sentivo inquieta. Dopo aver curato le ferite più serie mi misi in viaggio verso Staph: Peter non mi accolse a braccia aperte, gli lasciai la spada, non avevo la forza di rispondergli o di provare qualsiasi sentimento contro di lui. Scossi appena la testa e andai finalmente a riposare nella mia cella.
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05-08-2015, 11:06 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 05-08-2015 11:11 PM da La X di Miria.)
Messaggio: #4
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RE: [In Missione] Scheda di Angelica [La X di Miria]
Capitolo II: The Secret Path
Se la mia prima missione da novizia era cominciata all'alba, la mia prima missione da guerriera ebbe inizio a notte fonda. Aspettavo un nuovo incarico con ansia e provai un grande orgoglio nell'indossare la nuova armatura lucente. Ero una guerriera, ormai nessuno poteva metterlo in dubbio e fu con questa consapevolezza che mi diressi all'esterno delle mura. Trovai ad attendermi l'uomo in nero e due compagne: la missione si preannunciava interessante. Nelle gelide terre del nord erano state scoperte delle catacombe che parevano collegate con certe sparizioni in quella zona. Rabbrividii al sentir parlare di catacombe, ma almeno ero in compagnia. Prima di lasciarci andare Kelsier parlò ad ognuna di noi: a me disse che l'Organizzazione era rimasta favorevolmente colpita dal mio primo incarico. Questo non poté che riempirmi di nuova fiducia: avrei dato il massimo in questa missione. I quattro giorni di viaggio in direzione di Fresendorf passarono calmi, li impiegammo per conoscerci meglio. Non nascondo che ero estremamente curiosa di apprendere il maggior numero di cose possibili dalle mie compagne, un giorno avrebbero potuto essermi utili. Venni a conoscenza dei loro trascorsi e pian piano mi si delineò in mente il carattere di ciascuna: Morgana mi parve schiva e taciturna, Dua invece alquanto imprevedibile. Appresi anche dell'esistenza di certi individui: Elise, la sorella di Dua, che a quanto pare era anche una nostra compagna, una certa Minerva, molto autoritaria, e due uomini in nero di nome Duncan e Cort. Mi domando se incontrerò mai qualcuno di loro. Le terre di Alphonse ci accolsero con il loro ambiente inospitale, il villaggio di Fresendorf apparve all'orizzonte coi suoi pennacchi di fumo: Ruthgard, il sindaco, ci informò sulla situazione e fin dalla prima impressione mi parve che il nostro nemico fosse una creatura astuta, che preferiva agire nell'ombra. Senza troppi indugi ci dirigemmo verso l'entrata delle catacombe e non tardammo a percepire la traccia di uno Yoki: una figura comparve all'entrata, si accorse della nostra presenza e fuggì. La cosa non mi preoccupò più di tanto, c'era da aspettarselo; tuttavia notai nelle altre due una certa inquietudine e la cosa mi mise in allerta. Per questo una volta dentro mi proposi di aprire la fila così da tenerle a freno qualora avessimo incontrato un nemico: la nostra unione rappresentava l'unica speranza di successo. Cercando di essere convincente non esitai a sminuire la mia vita rispetto a quella delle altre, ma sia Dua che Morgana mi ripresero in maniera veemente. Penso che quello sia stato uno dei momenti più importanti della mia vita: mi accorsi che finora avevo tenuto poco conto di me stessa, di quello che avrei potuto provare o compiere, a favore dei miei obiettivi. Avevo semplicemente dato per scontato che avrei sempre reagito in maniera razionale, secondo ciò che io comandavo a me stessa, non concepivo che io stessa mi sarei ribellata a ciò che io stessa avevo deciso. Eppure adesso, come allora, non ne sono più sicura. La scoperta dello Yoki nel mio corpo era stata devastante, non volevo credere che un'energia così violenta e altra trovasse posto proprio dentro di me. Ora, lo spazio al mio interno si riduceva ancora: scoprii un qualcosa di simile ma molto più legato a me. Se lo Yoki era frutto del trapianto di Yoma e proveniva dall'esterno, questo qualcosa era sempre stato in me. È come un mio doppio, un'altra me stessa, che agisce senza dipendere da me e di cui mi devo prendere cura. Ora non posso più far finta di nulla. E da qui iniziò la nostra esplorazione di quei cunicoli bui e infestati: incontrammo innumerevoli svolte che misero a dura prova la nostra pazienza, la monotonia di quel luogo era una bella insidia poiché rischiava di farci abbassare la guardia. E infatti gli scontri non mancarono: il primo Yoma sbucò da una stanza, di seguito toccò a me pestare una mattonella sporgente attivando una trappola, altri due Yoma sbucarono da un corridoio attirati dal mio frastuono solo per venire infilzati alle spalle dalle mie compagne, e infine altri tre Yoma dentro una stanza. Momenti di grande tensione si alternavano a momenti di piatta monotonia, il ché risultò parecchio sfibrante. Alla fine riuscimmo a scoprire che fine avevano fatto le persone scomparse, i cui cadaveri erano stati accatastati in una stanza. C'erano solo due sopravvissuti. A stento venimmo a sapere che c'erano almeno undici Yoma in quelle catacombe: cinque li avevamo uccisi, sei mancavano all'appello. Mettemmo in salvo i sopravvissuti e ritornammo alla ricerca degli Yoma mancanti. Si erano radunati tutti in una sala e non ci restò che affrontarli a viso aperto: erano lì tutti e sei, disposti a semicerchio, ma quello che mi colpì di più fu uno Yoma gigantesco, di sicuro il loro capo. Decisi ad occuparmi dei due Yoma a destra: il primo cadde senza troppi problemi mentre il secondo mi ingaggiò in una dura battaglia. Alla fine nessuno dei due ebbe la meglio: accortosi di aver perso tutti i suoi artigli decise di fuggire, lasciandomi libera di respirare. Ripensandoci ora, come a fine missione, provo un certo fastidio nell'averlo lasciato fuggire. Uccidere gli Yoma è il motivo per cui esisto, averlo lasciato andare significa venir meno al motivo della mia vita. Tuttavia, mi dico, so che lasciarlo andare è stata la scelta giusta. Conciata com'ero sarei stata inutile, sarei morta e basta. Quell'altra me stessa, quell'… istinto di conservazione, mi aveva imposto di starmene lì e io, sì, le ho dato ragione. Non è codardia questa. È riconoscere i propri limiti. Penso di aver capito le parole che Morgana e Dua mi hanno detto all'entrata delle catacombe, penso di aver capito che anche io ho un valore. Se non mi avessero parlato così, se fossi stata ancora una novizia penso mi sarei gettata contro lo Yoma in qualsiasi condizione, non importa se ferita, stanca, distrutta, spaventata, anche coi denti avrei lottato. E alla fine è quello che è successo a Stir, con l'ultimo Yoma: nonostante tutta la stanchezza e la paura dovuta allo Yoki ho voluto ucciderlo, dovevo ucciderlo, perché era il mio compito, perché volevo essere una guerriera a tutti i costi… . Solo ora mi rendo conto di quanto vicina sono stata alla morte. Lo scopo della mia vita e la mia autoconservazione: il primo dà senso alla mia vita ma può spingermi a sacrificarla e il secondo… be' di senso non pare averne, ma mi sprona a conservare la mia vita come la cosa più preziosa. Nessuno dei due è sbagliato, l'errore se mai capita quando l'uno o l'altra prendono il sopravvento. L'unica soluzione è mediare. Non posso che essere grata alle mie compagne per avermi fatto scoprire questa parte così importante di me, di certo ne farò tesoro. E nella prossima missione nessuno Yoma mi sfuggirà! |
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24-08-2015, 12:27 AM
Messaggio: #5
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RE: [In Attesa] Scheda di Angelica [La X di Miria]
Capitolo III: Duello con Olivia
Dopo il lungo incarico portato a termine nelle Terre del Nord decisi di recarmi nell'arena di Staph, l'idea di mettermi alla prova con una mia compagna mi incuriosiva.
Non dovetti aspettare molto perché una sfidante si presentasse: una guerriera mai vista prima di nome Olivia. A prima vista mi parve molto affabile e non dovetti attendere molto per accorgermi che era anche molto rapida. Tentai un primo attacco frontale, ma la impegnai poco o nulla e subito ne approfittò per portarsi alle mie spalle. La evitai, ma solo facendo uso di un'ingente quantità di Yoki, e invertendo lo slancio mi fiondai di nuovo contro di lei: tutto inutile e fummo di nuovo da capo. Accusai il colpo dovuto alla repentina fuoriuscita di Yoki, la frustrazione dei miei sforzi vanificati mi abbatteva e i commenti di Peter non miglioravano le cose. Questa volta fu Olivia ad attaccare per prima: si lanciò contro di me a tutta velocità, con la spada sollevata e quindi con il ventre scoperto. Pensai di sfruttare la sua grande velocità scattando giusto quel momento prima per impedirle di attaccare, colpendola al ventre. Mi tenni spostata rispetto alla sua traiettoria per meglio difendermi dai suoi attacchi: Olivia, lanciata com'era, non sarebbe riuscita a invertire la sua direzione, o almeno questo era quello che immaginavo. Ma oltre ad essere veloce la mia avversaria era anche agile e non ebbe difficoltà a scivolare sotto la mia spada e a farmi cadere. Rotolai a terra e appena aprii gli occhi la vidi con la spada puntata alla mia gola. Provai fastidio e il berciare di Peter aumentò il mio malessere, così decisi di rivalermi su entrambi. Dichiarai la mia resa in modo da disattendere le aspettative del nano e provai a distrarre Olivia con qualche parola: l'idea funzionò perché riuscii finalmente ad atterrarla con uno sgambetto. Ne fui sollevata ma non per molto: la risata di Peter mi investì in tutta la sua oscenità, quello sgorbio scese verso di noi e tentò addirittura di darmi la mano. Ne fui disgustata e confusa allo stesso tempo e ancora ricordo le sue parole: “Giochi sporco. Mi piace”. L'idea che un essere così offensivo possa pensare di trovare della complicità con me... Non me ne andai molto serena: oltre all'episodio con il nano, la delusione per una sconfitta così sonora, sebbene non completa, mi feriva. Più si va avanti e più è difficile, e questo duello me l'ha comunicato molto bene. Davanti a me ci sono molte guerriere che non detengono a caso un numero superiore al mio: oltre che in salita, la strada è anche lunga. |
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24-07-2016, 10:54 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 24-07-2016 10:56 PM da La X di Miria.)
Messaggio: #6
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RE: [In Missione] Scheda di Angelica [La X di Miria]
Capitolo IV: Alla Fiera dell'Est
Non ero dell'umore giusto quando fui chiamata per questa missione: dopo il confronto con le precedenti compagne di squadra e il duello in arena non ero più tanto sicura delle mie capacità. Credevo che emergere dall'ombra del noviziato fosse la cosa più difficile, ma divenire una guerriera si è rivelato solo un altro inizio. Con animo poco fiducioso quindi, seguii l'accolito fino ad una porta dalla quale si udiva una splendida melodia: proveniva da un'arpa, accarezzata dalle dita della prima donna in nero che avessi mai visto. Assieme a me entrarono altre due guerriere, mai viste prima, e la donna in nero di nome Semirhage ci chiarì subito il motivo della nostra presenza.
A Cézanne, un borgo al limitare delle Terre dell'est, si sarebbe tenuta una grande fiera mercantile, motivo per cui le autorità cittadine avevano richiesto delle guerriere per garantire la sicurezza. In effetti, quella era una ghiottissima occasione per uno Yoma. Mi rallegrai del fatto che non bisognasse più dirigersi in terre desolate o scendere in buie catacombe, tuttavia la novità dell'incarico non mi lasciò tranquilla: non si trattava di andare a caccia di Yoma, ma di difendere una città dai loro attacchi, di "giocare in difesa". Tutto ciò necessitava di grande organizzazione, fermezza e attenzione, perciò rimasi totalmente spiazzata quando la donna in nero mi nominò caposquadra: non mi sentivo pronta. Fosse successo nella precedente missione, il mio orgoglio sarebbe balzato alle stelle, ma in quel momento non seppi fare altro che annuire in silenzio. La responsabilità di due compagne e di un'intera città, senza contare quella di rappresentare l'intera Organizzazione, costituiva un peso non indifferente. Partimmo subito e durante il viaggio cercai di instaurare un rapporto di fiducia con le mie compagne: se volevamo proteggere efficientemente la città, prima di tutto le cose dovevano funzionare tra di noi. Appresi dunque che si chiamavano Rebecca ed Elenwen, ma oltre ai loro gradi 35 e 45, non ottenni molto altro su cui stimare le loro capacità, probabilmente non ancora sviluppate. Una volta giunte a Cézanne fummo accolte da due guardie che ci condussero dalle autorità cittadine e che ci chiarirono meglio la situazione. A quanto pareva non si trattava di proteggere la città da una minaccia sospesa e sconosciuta, come avevo inteso, ma i sospetti si erano già concentrati su di un mercante facoltoso di nome Lei Kung. Trovai molto sospetto questo cambiamento e non potei fare a meno di pensare che le autorità, guarda caso tre mercanti di spicco, volessero sfruttare noi e il pretesto della sicurezza per sabotare gli affari del loro rivale. Il fatto che Lei Kung si fosse arricchito in poco tempo con merce rara, in concomitanza con gli omicidi di altri mercanti avvenuti fuori dalle mura, faceva sorgere molte domande, tuttavia non provava senza alcun dubbio che fossero coinvolti degli Yoma e che il mercante fosse sceso a patti con loro. Questa preoccupazione non smise di tormentarmi finché non mi resi conto di persona che i sospetti dei tre mercanti erano fondati: dopo il colloquio decisi di ispezionare la città e assegnai due quartieri a ciascuna di noi, tenendo per me la zona in cui si trovava la casa del mercante. Non appena la raggiunsi percepii chiaramente delle tracce di Yoki e il nervosismo delle guardie all'entrata: era chiaro che quell'uomo era in affari con degli Yoma. La situazione era delicata, per cui non feci nulla di avventato: dopo aver appreso che il mercante non era in casa, mi congedai dalle guardie con la promessa che gli avrebbero parlato di me. Proseguii il mio giro di ispezione e notai un gruppo di mercenari fermarsi proprio davanti alla medesima casa, per poi proseguire. Li seguii e ottenni di parlare con il loro capo, una donna di nome Darhak Nà. Da lei seppi che Lei Kung avrebbe tenuto un'asta in casa sua: un'ottima occasione per ottenere più informazioni, per cui non esitai a proporle di indagare per noi. Ero certa che la nostra presenza all'asta avrebbe scatenato non poche tensioni che preferivo evitare, ma non riuscii a convincere del tutto la donna. Con lei ebbi anche un altro discorso, più... personale: spinta da chissà cosa, la mercenaria si era proposta di aiutarmi a cambiare vita. Questo mi ha fatto riflettere sul modo col quale ci vedono gli umani: per la maggior parte di loro siamo persone da disprezzare, ormai mi è più che chiaro, ma ci sono altri, come la mercenaria, che invece ci vedono come persone da salvare. Comunque sia, siamo gente finita in una burtta situazione, da additare come mostri o da compatire come sventurate. Quello che non capiscono, che la mercenaria nemmeno ha capito, è che non è così, non c'è niente da salvare in me e niente di così terribile o misero da disprezzare, in me. Sarà il fatto che siamo a metà strada tra uomini e Yoma ad alimentare certe credenze, fatto sta che non sento di aver niente di sbagliato e sto perfettamente bene dove sono. Sarebbe bene far capire questo agli umani, una volta per tutte: io intanto ho cercato di metterlo ben in chiaro con la mercenaria. Dopo quest'incontro, ritornai al nostro alloggio, dove le mie due compagne mi informarono di quanto visto durante il giro d'ispezione. Non passò molto tempo, che un inviato di Lei Kung bussò alla nostra porta con una missiva: proprio il mercante ci invitava formalmente alla sua asta. Questa svolta inaspettata fece sorgere in me diversi interrogativi: cosa ci guadagnava il mercante con la nostra presenza? Che aveva in mente? Davvero pensava che non ci fossimo accorte delle tracce di Yoki sulla lettera? Voleva condurci in una trappola? Mi logoravo con tante domande nel vano tentativo di afferrare qualcosa di solido in mezzo a tutto quel fumo, fumo che per altro mi stavo lanciando negli occhi da sola. Per fortuna me ne resi conto in tempo, ripensando anche alla mia iniziale diffidenza nei confronti della Gilda dei Mercanti: alla fine le cose si erano rivelate meno complicate di quanto credevo. Pensare e ripensare non mi aveva portata a nulla, per cui acconsentii a concedere una pausa a me e alle mie compagne per quella serata: ci rifocillammo in una locanda e tornammo a riposarci nel nostro alloggio. Il mattino seguente mi svegliai fresca e riposata e procedetti ad illustrare alle altre il piano d'azione per quella giornata, piano che, a ripensarci ora, reputo buono e del quale non mancherò di rifarne tesoro, qualora mi capiti una simile situazione. Si ponevano due problemi: la difficoltà di movimento e di copertura degli spazi in mezzo a una vasta folla e la quasi totale ignoranza dello stato dei nostri nemici. La soluzione che trovai fu quella di muoverci sui tetti, così da controllare la festa da un'ottima posizione e nel contempo disincentivare gli Yoma ad attaccare, non potendo questi avere la certezza da che parte saremo potute comparire. Il piano funzionò, o meglio, non ci furono incidenti per tutto il tempo in cui rimase operativo: in ogni caso il risultato si rivelò positivo. Al tramonto ci ritrovammo tutte per dirigerci all'asta del mercante e non appena giungemmo alla sua casa, non fu difficile rendersi conto che l'intera abitazione era impregnata di Yoki. Scelsi di dividerci e di posizionarci nei tre punti nevralgici della casa, di modo da non intralciarci se avessimo dovuto combattere e da sondare la casa in più punti contemporaneamente. Tuttavia Rebecca ed Elenwen non mantennero le posizioni assegnate e questo mi irritò molto: come può funzionare una squadra se i propri sottoposti prendono gli ordini così alla leggera? Ma ormai erano lì, davanti all'entrata dell'asta, e non c'era tempo per discutere. Entrammo assieme e subito riconobbi la mercenaria. Lei Kung diede inizio all'asta e ad affiancarlo c'erano proprio due Yoma. Non persi tempo e rapida mi diressi contro quello più grosso dietro al bancone mentre quello più esile stava rapidamente guadagnando l'uscita che si apriva nella torre deitro al bancone. Questi lanciò qualcosa di brillante allo Yoma più grosso, il quale lo gettò a sua volta in mezzo folla, scatenando il disordine. Un abile diversivo, tuttavia non mi persi d'animo e mi lanciai contro il mio avversario, riuscendo a mozzargli un braccio dopo che una sedia lo aveva centrato in pieno sbilnciandolo. Tuttavia il mostro non era ancora finito e mentre Rebecca ed Elenwen si precpitavano all'inseguimento degli altri due Yoma, io rimasi a fronteggiarlo. Lo scontro si rivelò più duro del previsto, perché quella bestia era decisa a resistere fino all'ultimo: tentai un affondo ma quello riuscì ad evitarlo buttandosi in ginocchio e di risposta provò a bloccarmi le mani attorno alla spada, senonché lasciai l'elsa appena in tempo e lo finii a pugni sul muso. Una volta morto, la gente lì radunata proruppe in grida ed esultaizioni nei miei confronti, cosa che riesce ancora adesso a farmi arrossire: penso sia davvero un fatto di non poco conto che una guerriera riesca a riscuotere le acclamazioni di una folla di umani, nonché un ottimo traguardo per l'immagine dell'Organizzazione. Non indugiai oltre e mi precipitai in soccorso delle mie compagne: trovai Elenwen ferita sulle scale che scendevano nella torre dietro al bancone, insieme al cadavere di uno Yoma. Rebecca invece era alle prese con il terzo poco più avanti: la raggiunsi in tempo per vedere lo Yoma trafiggerla con molti artigli in cima ad una scalinata e per trarla in salvo prima che la situazione potesse peggiorare. Quello Yoma si era vilmente appostato in fondo alle scale, rendendo pericoloso ogni avvicinamento e, come se non bastasse, Rebecca era riuscita a trafiggerlo lanciandogli contro la sua spada, ferendolo seriamente ma bloccandolo proprio in quella posizione. Il problema stava nel passare le scale senza subire ferite gravi, per cui bisognava impegnarlo almeno per pochi istanti: mi tolsi i bracciali dell'armatura e li porsi a Rebecca, ordinandole di fare lo stesso. Lei avrebbe provveduto a bersagliare lo Yoma con quelli, mentre io mi sarei gettata contro di lui per trafiggerlo: il piano funzionò e lo Yoma ebbe la peggio. Finalmente anche l'ultimo era morto. Ritornammo nella sala dell'asta, ma la missione non era ancora finita, almeno per me. La vedova mi annunciò che lei e i mercanti avevano una disputa in sospeso per la quale avevano pensato a me come giudice: non disse altro e solo l'indomani scoprii di cosa si trattava. Dopo che confermai di aver accettato l'incarico, la donna mi spiegò che la disputa verteva sull'assegnazione della reliquia di un santo, lo stesso teschio brillante lanciato dallo Yoma più robusto per generare il panico. I contendenti erano tre: i preti al cui credo apparteneva la reliquia e l'uomo proprietario di quel teschio, il popolo del mare che aveva ottenuto l'oggetto commerciando e la mercenaria coi suoi compagni che, a quanto pareva, avevano aiutato le autorità a recuperare la reliquia dopo che questa era stata gettata in mezzo alla folla. L'unico criterio oggettivo col quale poteva essere assegnata la reliquia era quello del diritto di proprietà: esclusi quindi i mercenari, che non potevano accampare serie pretese di proprietà, rimasero i preti e la gente del mare: venni a sapere che la reliquia era stata trafugata per ben due volte, a entrambe le parti, ma siccome il furto più datato era stato quello ai danni dei preti, assegnai l'oggetto proprio loro, i propietari originari. Questi non nascosero il loro stupore, mentre le altre due parti si allontanarono dalla sala visibilmente deluse. Io invece lasciai la sala convinta di aver rinsaldato, con quella decisione, il potere dell'Organizzazione. Mi riunii alle mie compagne e scoprimmo Semirhage ad attenderci nel nostro alloggio: restava un ultimo giorno di festa ma non c'erano minacce incombenti. La missione poteva dirsi ormai conclusa. |
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27-08-2017, 03:29 PM
Messaggio: #7
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RE: [In Attesa] Scheda di Angelica [La X di Miria]
Capitolo V: Il Ritorno di Samara
Questa non è stata una missione come le altre, non si è trattato di eliminare Yoma odiosi per il bene di uomini inetti e di riportare finalmente l'ordine in un luogo che l'aveva perduto. Si è trattato di una questione molto più interna all'Organizzazione, una faccenda che non mi sarei aspettata di dover affrontare eppure, ora devo ammettere, perfettamente possibile. Fu sempre la signora Semirahge a mandarmi a chiamare e, sulla soglia del suo studio, rimasi stupita nel veder giungere anche Rebecca. Indubbiamente, il motivo della mia chiamata riguardava anche lei. Una volta dentro, Semirhage, visibilmente preoccupata, ci mise al corrente del nostro incarico: una guerriera di nome Samara si era ribellata all'Organizzazione ed era fuggita ormai da tempo, salvo riapparire nelle terre centrali proprio in quel periodo. La notizia mi sconvolse, perché tutto ciò non aveva alcun senso: che cosa sperava di trovare una guerriera al di fuori dell'Organizzazione? A quanto pareva la guerriera in questione non era stata capace di sopportare il disprezzo degli umani e per questo aveva rinnegato l'Organizzazione. Oltretutto, stando ai precedenti rapporti, la sua mente era ormai dominata dalla follia. Ciò che Samara aveva compiuto era di certo molto grave, tuttavia mi riservai qualsiasi giudizio per quando l'avrei incontrata. Io e Rebecca ci incamminammo dunque verso le Terre del Centro: non mancai di chiedere anche il suo parere riguardo la faccenda e, tra le cose che mi disse, ricordo con inquietudine di una certa folle guerriera che sarebbe la quarta guerriera più forte dell'Organizzazione. Penso tuttora che Rebecca si sbagli, probabilmente avrà dato credito a qualche delirio di una compagna non molto matura, non penso proprio che l'Organizzazione abbia consegnato una simile responsabilità a una donna instabile. Giungemmo a Torlilo verso sera e in una locanda incontrammo una sottoposta di Semirhage che ci illustrò meglio la situazione: il suo nome era Layla e si rivelò un tipo molto scontroso; inutile dire che farei volentieri a meno di incontrarla una seconda volta. Ad aspettarci c'era anche una guerriera molto particolare di nome Mara: i suoi capelli erano castani, il che mi fece subito pensare che qualcosa non fosse andato come avrebbe dovuto nel processo di trasformazione. Al piano inferiore, sedute ad un tavolo, facemmo conoscenza e trovammo il tempo per discutere della missione. Manifestai sin da subito la mia intenzione a venire in contro a Samara in maniera conciliante, dal momento che era una guerriera come noi e, per quanto impazzita e spaventata, ero certa che davanti a delle sue compagne per lo meno si sarebbe fermata ad ascoltare ciò che avevamo da dirle. Solo ora mi accorgo di come quella sia stata una mia proiezione indebita, basata sul mio modo di vedere le cose; Samara aveva tutt'altra prospettiva rispetto alla mia e, sebbene fossi stata messa in guardia dai racconti delle sue azioni, mi rifiutavo di dipingermi in mente l'immagine di una guerriera che fosse diversa da come io me la immaginavo, probabilmente impaurita dall'Organizzazione ma per lo meno conciliante di fronte a tre compagne che non avevano cattive intenzioni e disponibile ad una soluzione pacifica. Le mie due compagne mi misero prontamente in guardia riguardo a questo modo di agire e anche io, ragionando tra me e me, ne convenni che sarebbe stata, con ogni probabilità data l'instabilità di Samara, un'azione suicida. Optai quindi per una strategia offensiva, volta a cogliere Samara di sorpresa con l'aiuto del farmaco: assumendolo qualche ora prima e sfruttando le ultime ore di copertura del farmaco, saremmo riuscite a introdurci nel suo rifugio - un vecchio monastero abbandonato- senza farci individuare dalla sua percezione, sino a scovarla e a poterla affrontare nel pieno delle nostre possibilità. Mi parve subito un piano, semplice, rapido ed efficace. Camminammo per tre giorni, incontrando solo le rovine e la desolazione che Samara si era lasciata alle spalle, sino a giungere al vecchio monastero. Entrammo senza difficoltà e, guidate dalla colonna di fumo che si vedeva partire da un edificio, arrivammo nel luogo in cui si trovava Samara. In preda a discorsi deliranti, non si era ancora accorta della nostra presenza: decisi quindi di entrare subito in azione, sorprendendola con un attacco combinato tra me e Rebecca, lasciando Mara all'esterno per permetterle di sorprendere la nostra avversaria ancora una volta, se noi avessimo fallito e quest'ultima ci avesse inseguite all'esterno. Tuttavia, forse per la fretta di concludere, non mi avvidi delle macerie che Samara aveva sparso molto fortunatamente proprio in quel momento, decidendo di distruggere dei mobili con la sua spada in preda ad un ennesimo attacco di follia. Le macerie ostacolarono il nostro percorso e diedero a Samara il tempo di accorgersi di noi e di schivare i nostri attacchi, rifugiandosi in un angolo della stanza. La situazione si era trasformata nella maniera peggiore, con noi due bloccate all'interno e Mara ancora fuori, incapace di capire cosa fosse successo. Samara, visibilmente sorpresa della nostra comparsa, si mise subito a indagare sul nostro conto. Io cercai di tenerle testa per quanto possibile, rispondendo a tutte le sue domande per evitare di scatenare la sua follia, ma quella già metteva in mostra i tratti che me l'hanno resa tanto odiosa: indole volubile, urla improvvise e totale incapacità a mostrarsi ragionevole. Tuttavia la mia disponibilità non fece altro che condurre comunque a uno scatto folle di Samara. Ormai annoiata da come si stava svolgendo il nostro confronto, pensò bene di saltare fino a me e tagliarmi il braccio. Brividi e fitte mi percorrono ancora il braccio sinistro quando ripenso a quella scena e non posso fare a meno di toccarlo. Inutile dire che quello fu il momento in cui tutte le mie belle illusioni svanirono completamente. Come un'ingenua mi ero fatta ingannare dalle apparenze, ritenendo che siccome si trattava di una guerriera, di un membro dell'Organizzazione, per forza doveva essere meritevole di rispetto e di almeno un'opportunità per risolvere la questione in maniera ragionevole e pacifica. Tuttavia, sebbene non fu per niente una piacevole esperienza, la concentrazione che raggiunsi nel tentativo di rigenerarmi il braccio mi fece scoprire delle novità riguardo allo Yoki e al suo controllo. Ricordo che l'energia che liberavo pareva dirigersi spontaneamente verso il braccio ferito, quasi sapesse quello che doveva fare; era come se tutto il mio corpo si fosse mobilitato solamente per quell'unico obiettivo: riappropriarsi di una perduta parte di sé. Di fronte a questo movimento, così potente, capii che ogni azione arbitraria non faceva che ostacolare questo flusso spontaneo, per cui mi feci da parte e rimasi a sentire il mio corpo che agiva. Fu una sensazione davvero rincuorante. Samara rimase ad osservare la mia rigenerazione e questo diede l'opportunità alle mie compagne di reagire. Ne seguì un duro e frustrante combattimento, durante il quale Samara riuscì a tener testa ad ognuna di noi persino da distesa, salvo poi perdere una gamba a causa della mia spada. La soddisfazione nell'averle restituito il favore sfumò presto, poiché Samara nel contempo trafisse Rebecca all'addome, causandole una ferita gravissima. Preoccupata per come si stava evolvendo la situazione decisi di allontanarmi al più presto da Samara stringendo la sua gamba mozzata, prima che lei potesse colpirmi con la sua spada. Quella mossa ebbe l'effetto di darmi un po' di respiro, ma quella pazza ne approfittò per prendere in ostaggio Rebecca . Tentai ancora una volta di farla ragionare, questa volta però con qualcosa in più dei “ragionevoli propositi”, minacciandola di gettare la sua gamba nel fuoco se non si fosse arresa. Lei però mi minacciò a sua volta, urlandomi che avrebbe tolto la vita a Rebecca se non le avessi restituito la gamba. La situazione stava per degenerare quando scorsi un movimento furtivo di Rebecca verso i suoi pugnali. Ammirai il gesto della compagna che, nonostante tutto, non smetteva di lottare e decisi di appoggiare il suo intento, attirando l'attenzione di Samara su di me. Finsi di arrendermi alle sue proposte, decidendo di restituirle la gamba, ma subito Rebecca le trafisse il braccio e io colsi al volo l'occasione per trafiggerla definitivamente alla spalla. Così, Samara, finalmente battuta, si lasciò cadere a terra senza più reagire. Non provai il minimo senso di pietà a quella vista, al contrario di Mara che, come se si fosse scordata di che razza di bestia fosse Samara, la guardò con occhi colmi di compassione. La cosa mi irritò molto e tutt'ora ritengo la mia compagna piena sì di buone intenzioni, ma dall'animo fin troppo semplice e superficiale. Il fatto che sia passata così facilmente dai sentimenti di rabbia e terrore a quello di pietà, dimostra, a mio avviso, che i sentimenti che prova mancano del tutto di profondità. Preoccupata per la situazione in cui versava Rebecca, mi premurai di starle accanto e aiutarla nella rigenerazione, ignorando del tutto Samara che supplicava di venire uccisa. Il suo rantolare e la preoccupazione che esso scatenò nelle mie due compagne non fece che segnare il culmine di quella vicenda così deplorevole e imbarazzante. Fino ad ora era stata una presa in giro piena di follia e insensatezze, scatenate dalle azioni di Samara; tuttavia, una farsa nel contempo profondamente inquietante, dal momento che il rischio per le nostre vite era stato concreto. Ora però quella stessa farsa stava virando verso toni spudoratamente tragici, raggiungendo così il culmine, il picco più ignobile e vergognoso della presa in giro. Samara, che invocava la morte quasi fosse una martire, il suo desiderio di essere “libera”, quasi volesse conferirsi una certa nobiltà d'animo... Risi. Risi di fronte a quella scenata pacchiana, non ce la feci più. Solo in quel momento capii che era questo il modo giusto per affrontare Samara: non opporsi a lei in maniera seria e ragionevole, quasi si giocasse a madre e figlia, ma ridere, ridere e non prendere niente sul serio. Non fissarsi o impuntarsi su presunte immagini o valori, ma solo ridere leggeri. Già, questa sensazione di leggerezza... l'avevo quasi dimenticata ormai, dopo tutti i pericoli e le responsabilità che ho dovuto affrontare. Uno è facile che la perda, la leggerezza, sotto tutto quel peso. Ma ora, dopo avere meditato a lungo su questa missione, mi sembra di avere riaperto nuovamente gli occhi e che il mondo attorno a me abbia assunto un nuovo colore, più vivo. Per quanto possa detestare Samara, sentirla lontano da me, sentirmi frustrata per non essere riuscita a trovare un punto di incontro con lei, forse, incredibilmente, dovrei anche ringraziarla per avermi fatto ridere così tanto, perché solo in questo modo ho potuto scrollarmi di dosso almeno un po' di tutta la pesantezza accumulata. Chissà che tutta questa nuova consapevolezza, riguardo la mia ingenuità, il mio Yoki e la pesantezza che affliggeva il mio animo, non sia il segno di un nuovo inizio. |
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29-12-2018, 12:36 AM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 29-12-2018 10:38 AM da La X di Miria.)
Messaggio: #8
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RE: [In Missione] Scheda di Angelica [La X di Miria]
Capitolo VI: Il Cacciatore
Dopo essere stata convocata assieme a Luna, numero 25, dalla signora Semirhage, a seguito della scomparsa di un esperto cacciatore nelle Terre del Sud, Luna ed io ci recammo nel luogo indicato, dove trovammo Gregor l'amico dell'uomo scomparso, ad accoglierci. Il cacciatore mancava già da cinque giorni e tutto quello che era riuscito ad inviare era stato un messaggio di poche parole, che il suo falco aveva recapitato al villaggio. La situazione pareva disperata. Ci mettemmo in viaggio assieme a Gregor, che ci fece da guida, e giungemmo fino alla stamberga abbandonata dove il cacciatore aveva preso rifugio. Ciò che non mi dimenticherò mai fu la calma inquietante che regnava in quella radura. Congedammo l'uomo e ci avvicinammo lentamente, quando un lupo enorme dotato di aculei comparve da dietro la stamberga, un altro sbucò sul tetto e un terzo lanciò un richiamo terrificante da lontano. Ci gettammo sul primo lupo per neutralizzarlo rapidamente, ma il secondo dal tetto e mi buttò a terra prima che potessi sferrare il mio attacco. Lottai con tutte le mie forze per tenere le sue fauci lontane dal mio viso e il fendente di Luna alle sue zampe posteriori fu decisivo perché potessi tagliargli la gola. L'altro lupo approfittò del momento di distrazione della caposquadra per aggredirla alle spalle, ma un istante dopo la sua testa giaceva a terra infilzata dalla mia spada. Non riuscimmo nemmeno ad avere un attimo di respiro, che il terzo lupo comparve sul tetto della stamberga e ci piombò addosso a tutta velocità. Gli bastò scansarci con una violenta spallata, perché il suo vero obiettivo era il cadavere di uno dei lupi. Prese a divorarne uno con foga e io ebbi l'impressione che volesse cancellare le tracce del suo compagno. Io e Luna lo attaccammo alle zampe posteriori e il lupo ritornò a concentrarsi su di noi, inferocito. Per fortuna ce ne sbarazzammo alla svelta perché altrimenti avrebbe potuto essere un avversario temibile: era molto più forte dei suoi compagni e possedeva la capacità di rigenerare istantaneamente le proprie ferite. L'ho visto con i miei stessi occhi, dopo avergli sferrato un fendete alle gambe, una capacità davvero pericolosa in un combattimento. Dopo aver eliminato i lupi, mi diressi verso la stamberga per sincerarmi delle condizioni del cacciatore, mentre Luna rimase a curarsi le ferite. Lo trovai morto dentro una botola, cosparso di cenere e con una brutta ferita al fianco. Accanto a lui, numerosi fogli sparsi e una mappa disegnata su uno di essi, che mostrava chiaramente il percorso per giungere al covo di quei lupi. La portai subito alla caposquadra e entrambe concordammo nel voler scoprire di che cosa si trattasse. Pensai di fare subito una copia della mappa, oltre che a cospargerci di cenere come aveva fatto il cacciatore per ingannare l'olfatto dei lupi, e ci dirigemmo verso il luogo indicato sulla mappa. Dinnanzi a noi si presentò una radura con gabbie coperte con teli, torce e mercenari, tutti disposti attorno ad un'entrata che portava all'intero di una collina. Con ogni probabilità dentro le gabbie vi erano altri lupi o creature simili, mentre i mercenari erano per forza stati assoldati da qualcuno, lo stesso qualcuno che aveva imbastito questa società rivale all'Organizzazione. Se quello che vedemmo ci sembrò preoccupante, è difficile descrivere il mio stupore quando dall'entrata emerse una donna con l'armatura dell'Organizzazione. Emanava uno Yoki preoccupante ed era... di una bruttezza veramente rara. Subito pensai a una traditrice, come lo era stata Samara, ma, dato il suo viso mostruoso, fui più propensa a considerarla una vittima di esperimenti. D'altro canto, i lupi non erano frutto di esperimenti? Se era questo il vezzo di quella “nuova” Organizzazione, allora potevano avere sperimentato anche su una guerriera rapita. Non era il caso di farsi scoprire dalla guerriera e dai mercenari, per cui io e Luna ci ritirammo e facemmo il giro dell'area, alla ricerca di altre entrate. Ne trovammo un'altra, decisamente più fortificata della prima, un castello in rovina presidiato da mercenari e armi d'assedio. Avevamo visto abbastanza, la nostra missione era compiuta, per cui decidemmo di tornare dalla signora Semirhage. Lei ci disse di più sul conto di quella guerriera. A quanto pareva erano giunte già diverse notizie di guerriere simili al Quartier Generale, guerriere morte e riesumate dalle loro tombe, con uno Yoki molto instabile. Alcune compagne avevano persino già affrontato queste “Dimenticate”. Dopo che Semirhage se ne fu andata, salutai Luna e mi diressi verso il mio territorio di competenza. Senza dubbio questa missione mi ha dato modo di raccogliere molte nuove informazioni- il fantomatico “Risveglio” delle guerriere, questa nuova organizzazione rivale e infine le Dimenticate- e non posso che ammettere che il mondo in cui l'Organizzazione si muove è decisamente più vasto di quanto immaginassi. Non mi resta che far tesoro delle nuove conoscenze e accoglierle come segno di riconoscenza e di fiducia da parte dell'Organizzazione, impegnandomi a servirla sempre e al massimo delle mie capacità. |
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