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[In Missione] Scheda di Seayne (Nardo)
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20-11-2012, 10:56 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 25-01-2014 12:16 AM da Kelsier.)
Messaggio: #4
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Scheda di Seayne [Nardo]
CAPITOLO III: Per un Pugno di Diplomatici
Quando Seayne riaprì gli occhi, intuì di trovarsi nelle segrete della città di Rabona. La sua impressione era corroborata dal rumore dell’acqua che gocciolava da qualche parte, mantenendo l’ambiente umido e maleodorante, nonché dai lamenti di qualche disgraziato messo lì a marcire per chissà quale crimine, e dagli squttii dei ratti che si muovevano silenziosi attraverso i corridoi e, ne era sicura, tra le celle. I roditori le fecero tornare in mente Araldus, la sua fobia per i topi ma, soprattutto, la sua figura asciutta e misteriosa, sempre avvolta nella sua vestaglia verde scuro, mentre la congedava dopo averle assegnato l’ultimo incarico. In cuor suo, Seayne sapeva di aver deluso il suo precettore: certo, aveva assolto il compito per il quale era stata inviata a Trem, aveva ucciso lo yoma che minacciava quella comunità, ma aveva sottovalutato la creatura, oppure aveva sopravvalutato se stessa, rimanendo ferita in modo talmente serio da non riuscire a opporsi alla cattura da parte delle guardie della città santa. Seayne non sapeva se da Staph avrebbero mandato qualcuno a prenderla, ma non si faceva molte illusioni al riguardo: perché avrebbero dovuto rischiare qualcuno per recuperare una guerriera di basso rango come lei? Inoltre, aveva perso il conto del tempo trascorso in quel buio tugurio, con le braccia e le gambe bloccate da delle catene anche se, a voler guardare quel poco di positivo che c’era in quella situazione, almeno aveva avuto il tempo, neanche lei sapeva come, di rigenerare completamente le sue ferite. Le guardie di Rabona si erano rivelate ben diverse dai favolosi racconti che aveva udito da bambina, nel quale erano dipinte come eroi senza macchia e senza paura: alla prova dei fatti si erano rivelati meschini e spietati come molti altri uomini… Seayne si trovò a imprecare contro di loro, quando un cigolio improvviso interruppe i suoi pensieri: una porta si era aperta un pò, lasciando intravvedere il luccichio di un’armatura: una guardia era venuta a sincerarsi delle sue condizioni e ordinò che le portassero da mangiare. A Seayne bastò sentir parlare di cibo per avvertire una lieve sensazione di fame; non molto forte in realtà, ma quel che bastava per farle capire che la fatica, il sangue perduto e gli sforzi per rigenerarsi pretendevano il loro prezzo. Una figura mingherlina, un ragazzo a quel che sembrava, le si avvicinò, posò la scodella a terra e la spinse attraverso le sbarre che la guerriera, nell'oscurità, non aveva notato, avvicinando la ciotola alla ragazza. Seayne provò a protendere le braccia per prenderla, ma scoprì che le catene che la tenevano bloccata le impedivano di afferrarla: se voleva mangiare, avrebbe dovuto mettere la faccia dentro la scodella, come fa un cane! L’orgoglio ferito della guerriera esplose in un accesso di rabbia: per un istante, cercò inutilmente di forzare le catene che la imprigionavano… L’impulso ad attingere allo yoki e cercare di spezzare le costrizioni fu forte, ma un barlume di ragione la fece riflettere, mentre il suo istinto di conservazione le impose di calmarsi: non era il momento di fare pazzie. La voce esitante del ragazzo strappò Seayne dai suoi rabbiosi pensieri: sembrava incuriosito dalla “strega dagli occhi d’argento”, così la guerriera decise di dargli corda. A prescindere da tutto, in quella situazione ogni amico poteva fare comodo. Il piccolo si chiamava Kristopher, anche se tutti lo chiamano Krik, era uno degli sguatteri che lavorava alla prigione, un orfano che era stato venduto come servo all'intero reggimento delle guardie le quali, con lui erano state rudi ma buone. Nonostante temesse che Krik cercasse di cavarle informazioni con le buone, il ragazzino era la prima persona che si mostrava buona e gentile con lei da quando era stata catturata e non era di sicuro colpa sua se lei era stata messa ai ferri. La guerriera decise quindi di mostrarsi gentile con lui e, mantenendo lo sguardo mite, gli rivolse un piccolo sorriso, mentre replicava, parlando di se ma senza rivelare nulla riguardo l’Organizzazione Conclusa la sua storia, Seayne decise di ingoiare il suo orgoglio e si chinò per immergere la bocca nella ciotola del rancio, iniziando a mangiare. Ne aveva bisogno e non voleva correre il rischio che le portassero via il cibo se avesse indugiato troppo. Tuttavia, mentre mangiava, un altro pensiero le venne in mente, così si raddrizzò, deglutì il boccone che aveva in bocca e si rivolse nuovamente al ragazzino, chiedendogli se sapeva cosa ne volessero fare di lei. Krik aveva ascoltato con molta attenzione la breve storia di Seayne: la sua espressione concentrata mentre memorizzava ogni singola parola che usciva dalle labbra della guerriera. Fu allora che il piccolo spiraglio di luce che filtrava dalla porta illuminò gli occhi del ragazzo: occhi verdi come quelli di Stephan!- Da quando era iniziata la sua missione, Seayne non aveva avuto modo di pensare molto a se stessa, così i ricordi del bell'attore conosciuto durante il suo test e delle forti emozioni che aveva provato quando l’aveva baciata, non erano giunti a turbare il suo cuore e i suoi pensieri ma ora, ridotta all'impotenza e umiliata, alla vista di quegli occhi così diversi eppure così simili a quelli di Stephan, quegli stessi ricordi le si affacciarono alla mente, e le lacrime che caddero nella ciotola dove la guerriera era costretta a mangiare come un cane, non erano soltanto di rabbia. Un sospiro di Krik strappò Seayne dai suoi ricordi, appena in tempo per accorgersi che il ragazzo stava rispondendo alla sua domanda, informandola che l’attendeva un processo davanti all'alto consiglio di Rabona! Prima che il giovane potesse finire, la guardia lo richiamò all'ordine, ordinandogli di uscire. Seayne lo pregò di tornare da lei. Impossibile per Seayne dire quanto tempo passò dopo che la porta della sua cella venne richiusa, immersa com'era nella pressoché totale oscurità della sua cella… La ragazza finì come meglio poteva il suo cibo e poi rimase lì, sola nel buio, malinconicamente ripensando a tutto quanto accadutole da quando era arrivata a Staph e rammaricandosi per non esser morta durante lo scontro con lo yoma. Non nutriva infatti molte speranze per il processo. All'improvviso, il rumore di una serratura che scattava attrasse la sua attenzione: uno spiraglio si aprì nella porta e la piccola figura di Krik scivolò rapidamente dentro; lo stava facendo di nascosto dalle guardie? Un raggio di luce illuminò un ampio sorriso sul volto del ragazzo, che aveva in mano qualcosa che porse a Seayne attraverso le sbarre: un pezzo di pane fresco e fragrante! Krik affermò di averlo preso dalle cucine, di nascosto! Un pezzo di pane: una cosa semplice, che due persone semplici come loro, due orfani, potevano apprezzare. Seayne rivolse un sorriso a Krik e poi, nonostante non avesse fame, si sporse in avanti per addentare quel semplice dono, ringraziando il ragazzino il quale, in cambio, le chiese di raccontargli ancora qualcosa di se e delle “streghe dagli occhi d'argento”. Seayne accettò e, nelle sue parole, cercò di trasmettere al ragazzino due concetti: il primo è che le guerriere non vendevano l’anima ai demoni, anzi ne erano le più feroci avversarie e, secondo, che né lei né le altre uccidevano gli esseri umani. Prima che il ragazzino potesse replicare alle parole di Seayne, una delle guardie delle prigioni si accorse che era sgusciato alla chetichella nella cella della guerriera, provvedendo a spedirlo via con un pedatone nel didietro. Ignorando la richiesta di Seayne di non punirlo, la guardia l’informò che era giunta una missiva dai suoi superiori, i quali avrebbero mandando qualcuno a presenziare per lei! Una miriade di domande le esplose in testa: chi mai sarebbe venuto dal quartier generale? Uno dei supervisori o qualcun altro? E cosa intendeva la guardia con la parola “presenziare”? L’uomo di Staph avrebbe preso parte alla sua difesa o sarebbe stato solo uno spettatore incaricato di osservare e riferire? Troppe domande e nessuna possibilità di trovare una risposta. Non rimaneva che aspettare, anche se Seayne non sapeva per quanto… Altro tempo passò, con Seayne immersa nel buio, con l’umore mutevole e la mente che vagava soffermandosi ora sui ricordi del passato, ora soffermandosi sul presente, sull'amato Stephan e sul suo destino se e quando fosse riuscita a tornare a Staph. Ogni pensiero portava con se un nuovo carico di tristezza e la ragazza faticò non poco per non cedere alla disperazione e non tentare qualche gesto inconsulto, sfogando nelle lacrime la sua rabbia. Krik non tornò più a farle compagnia e nessuno le aveva più portato da bere o mangiare. Finché, all'improvviso, la porta della sua cella si spalancò e la guardia che piantonava la sua cella, chiamandola “mostro”, le annunciava una visita da parte dei “suoi”. La cosa riempì nuovamente Seayne di rabbia nei confronti di quella e di tutte le guardie di Rabona, ma ben presto la sua attenzione venne catturata da un tintinnio metallico, ma più leggero di quello dell’armatura del piantone Una voce diversa, una voce femminile la chiamò per nome… Seayne alzò la testa per guardare in direzione della porta: illuminata dallo spiraglio di luce si stagliava una figura vestita con l’uniforme e l’armatura di una guerriera dell’Organizzazione! Per un terribile istante Seayne temette che la compagna fosse stata mandata per epurarla e istintivamente cercò di ritrarsi, ma poi quest’ultima si mosse verso di lei e, mentre si avvicinava, la vista di Seayne si abituò alla luce che entrava e riuscì a mettere a fuoco la nuova arrivata, notando subito che, oltre gli occhi d’argento, i suoi capelli corti, con un lungo ciuffo sulla parte destra della faccia avevano più o meno la stessa sfumatura argentata e l’espressione del suo viso era amichevole e un po’ preoccupata, non severa come ci si sarebbe aspettati da qualcuno che deve infliggere una punizione. Ma la cosa che più sconcertò Seayne fu che si accorse, quando la compagna le venne vicino e si accoccolò sui talloni di fronte a lei, che non aveva la sua claymore con sé. Immaginando che quegli uomini infidi avessero imposto alla compagna di lasciare l’arma di fuori per consentire di farle visita e temendo un’imboscata nei suoi confronti, stava per metterla sull'avviso quando questa, mantenendo un’espressione conciliante, tirò fuori una lettera da consegnarle dietro ordine di Mastro Araldus. Seayne era confusa da quanto stava accadendo. Tuttavia era felice di aver incontrato una nuova compagna, una che condivideva il suo stesso destino e che poteva capirla forse meglio di chiunque altro. Seayne tentò di muovere le braccia e questo fu sufficiente affinché l’altra guerriera si accorgesse delle costrizioni che la tenevano bloccata. La nuova arrivata senza alzarsi girò la testa in direzione del secondino, chiedendogli e ottenendo di liberarle le braccia, dietro promessa di tenerla d’occhio. Malvolentieri la guardia accettò “Sei fortunata che Araldus abbia insistito tanto per venire personalmente lui a recuperare un cumulo di sterco come te. Fosse dipeso da me ti avrei fatta epurare nelle segrete e avrei cancellato ogni prova!” Questo era il contenuto della missiva indirizzato a lei, letto a voce alta a sufficienza affinché anche la compagna udisse. Inaspettatamente la lettera non era di Araldus, ma era stata scritta e firmata di suo pugno da un altro dei supervisori: Domino! Tutto sommato, le supposizioni che la guerriera aveva fatto riguardo al suo destino non erano poi del tutto errate. Non si aspettava però che Araldus fosse venuto fin là di persona, portando con sé la sua compagna evidentemente come guardia del corpo, ma perché? La guardia interruppe la conversazione, dicendo che le due avrebbero potuto continuare il giorno dopo, al processo… Seayne ebbe appena il tempo di restituire alla compagna la lettera e di pregarla di riferire a Mastro Araldus che, comunque, il compito che le era stato affidato era stato eseguito. La guerriera, che si era rivelata a lei come Aurora, la numero diciotto dell’Organizzazione, le poggiò una mano sulla sua spalla, nel tentativo di infonderle un po’ di speranza, prima di salutarla e uscire, lasciandola nuovamente sola nel buio. Seayne avrebbe voluto che Aurora rimanesse con lei ancora un pò. Vedere il volto di una compagna dopo i giorni di prigionia, sentire la sua voce, vedere il dispiacere nei suoi occhi quando si era chinata di fronte a lei e aveva visto i suoi polsi martoriati e quando aveva letto la lettera di Domino era stato… bello. Forse per la prima volta Seayne si era sentita a suo agio con una compagna, tanto che la guerriera prigioniera aveva concentrato su di lei la percezione dello yoki, quasi a voler trattenere la sua presenza, finché l’aura dell’altra s’era fatta troppo lontana per essere percepita. Dopo un po’, tante domande e congetture si affollarono nuovamente nella sua testa finché Seayne, stanca. dopo tanti giorni passati costretta in una posizione a dir poco scomoda dai ceppi alle braccia, sapendo di non poter trovare delle risposte, cercò una posizione che le desse un minimo di comodità e, con in mente il volto di un giovane uomo dalla pelle ambrata e gli occhi verdi, lentamente Seayne scivolò nel sonno. Seayne era ancora intontita quando quattro guardie vennero a prelevarla dalla sua cella per sbatterla dentro una gabbia di ferro arrugginito montata su delle ruote, spinta dalle stesse per farla avanzare attraverso i corridoi ampi a sufficienza per permettere alla gabbia di procedere. Seayne, triste, affranta e, a dirla tutta, un po’ impaurita, si accorse durante una sosta che, fuori da una finestra, brillava il sole, e allora si spostò dentro la gabbia in attesa, fino a rannicchiarsi sotto il fascio di luce che entrava dalla vetrata, beandosi di quel chiarore che le forniva un po’ di conforto. Ma niente avrebbe potuto preparare la guerriera a quel che vide e subì di lì a poco: dentro la sala c’era una folla enorme che esplose in un boato alla vista della guerriera, iniziando a inveire pesantemente contro di lei. Insulti arrivavano alle orecchie di Seayne da tutte le direzioni; ovunque la guerriera girasse la testa veniva fatta bersaglio di invettive e sputi che in breve la colpirono dappertutto, volto compreso. Colta dalla disperazione, nonostante i ceppi a braccia e gambe, la ragazza spaventata cercò di rannicchiarsi sul fondo della gabbia, inutilmente tentando di sfuggire a quel tormento. Ma la rabbia che le esplodeva in petto nei momenti di massima tensione emotiva le fece ritrovare quella determinazione che pensava d’aver perduto e si raddrizzò, per quanto consentitole dalle catene, sulla sua figura, testa alta e schiena diritta, con gli occhi d’argento che ignoravano la folla, cercando le figure di Mastro Araldus e Aurora, seduti su un piccolo palco assieme a un’altra figura incappucciata che Seayne non ebbe tempo e modo di riconoscere. La guerriera rivolse al trio un cenno col capo in segno di saluto e rispetto, poi distolse lo sguardo da loro, rivolgendolo verso altre tre figure, quelle che probabilmente erano i tre grandi Giudici della città santa: Padre Antoin: il tesoriere dei monastero, Padre Thierry: sacrestano e custode dei sacri testi e Cerio il capitano della guardia cittadina. Il processo iniziò. Mastro Araldus aveva risposto rapidamente alla domanda del giudice e, a giudicare dal suo atteggiamento la cosa gli era costata uno sforzo non indifferente. Aurora, la sua compagna, era sembrata all'inizio un po’ in imbarazzo ma poi, a mano a mano che il suo discorso procedeva, le sue parole si erano fatte a poco a poco più convinte, difendendo la compagna con calore e passione. Seayne, grata per quelle parole, avrebbe voluto allungare il suo braccio per stringere la mano che Aurora aveva allungato verso di lei, ma i ceppi ai polsi glielo impedirono. Credendo ancora nella giustizia delle autorità di Rabona, Seayne si lasciò guidare dalla sua indole e lasciò che quel che aveva da dire venisse dal suo cuore: cercò quindi di sistemarsi in una posizione il più possibile eretta e, fissando i giudici con espressione mite, con voce misurata ma decisa raccontò la sua versione dei fatti, senza profferire menzogna, concludendo il suo intervento chiedendo perdono per qualunque mancanza si reputava avesse commesso. Seayne aveva sbagliato a credere nella giustizia di quegli zeloti ma, oltre a essere zittita senza tanti complimenti dal capitano, cosa che tutto sommato si aspettava, dovette incassare anche l’occhiataccia e il gesto eloquente di Araldus, un gesto che la mente semplice e esausta della guerriera interpretò nel peggior modo possibile, mentre Padre Antoin scrutandola con sguardo severo e deciso, continuava a rampognarla. La ragazza si sforzò per non ridergli in faccia e chinò la testa in modo tale che i capelli nascondessero il sorriso rabbioso che le era comparso sulle labbra. Impotente, rassegnata, sforzandosi di non cedere alla disperazione che le bruciava dentro mescolata alla sua rabbia, Seayne cercò con lo sguardo l’unica persona lì presente che aveva cercato di darle conforto e che, realmente aveva cercato di difenderla: Aurora, la sua compagna. Proprio in quel momento, i giudici chiamarono l’ultimo testimone, il quale si fece avanti e si tolse il cappuccio… Gli occhi di Seayne si sbarrarono per lo stupore, il suo respiro le si mozzò mentre il cuore in petto iniziò a batterle all'impazzata: quell'uomo era… Stephan!… Un’incredula Seayne ne scandì il nome con voce strozzata, mentre tutti i momenti, tutte le sensazioni che la ragazza aveva vissuto e provato assieme all'attore dagli occhi verdi si riversarono nella sua mente come la piena improvvisa di un fiume, lasciandola immobile e impotente come quando Stephan la baciò per la prima volta. I ceppi a mani e piedi le ricordarono che era ancora incatenata, quando la ragazza cercò di muoversi verso di lui. Seayne era completamente disorientata da quell'apparizione del tutto inattesa, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime frammiste di gioia per aver rivisto il suo amato e di tristezza, nell'imminenza di una separazione che, lo sapeva, questa volta sarebbe stata definitiva. Persa nella marea di emozioni e sensazioni che l’avevano travolta, Seayne si era a malapena resa conto che c’era stato uno scambio di battute tra il giudice e Stephan, che però non rispose, rimanendo come inebetito a fissare negli occhi Seayne la quale non distolse lo sguardo, come se volesse fissare gli occhi di smeraldo dell’amato nella mente, per portarli con se nell'aldilà… Il giudice bollò la difesa di Seayne come ridicola e priva di prove e fondamento. La guerriera udì quelle parole e, comprendendo di essere oramai giunta alla fine, con un sorriso triste sul volto rigato dalle lacrime si rivolse al suo amato, parlando a voce bassa in modo tale, sperava, da farsi udire solamente da lui, confessandogli il suo amore e dicendogli addio. Quel tragico idillio venne bruscamente interrotto da Aurora, che era improvvisamente apparsa vicino a Stephan e gli aveva afferrato il polso nel tentativo di riportarlo alla realtà e, subito dopo lo fissò negli occhi e capendo che, forse, le ultime speranze di salvezza di Seayne erano legate a lui, cercando di spronarlo a testimoniare in favore della compagna; aggrappandosi a quell'ultimo barlume di speranza, anche Seayne cercò di scuotere l’amato, ma prima che Stephan potesse dire o fare qualcosa, lestamente Araldus lo prese per le spalle, spingendolo verso l’uscita, lasciando l'udienza nelle mani di Aurora Seayne balbettò qualche parola senza senso con voce strozzata, mentre le sue ultime speranze si allontanavano, assieme all'uomo che amava, probabilmente per sempre e le sue mani, nonostante i ceppi, afferravano le sbarre della gabbia nella direzione verso la quale i due uomini si stavano allontanando. La guerriera prigioniera, sconvolta, disorientata e, onestamente, un po’ impaurita dalla piega presa dagli eventi, non riusciva a dare un senso a tutto questo: perché Stephan non aveva detto o fatto nulla? Perché i suoi occhi sembravano assenti, vacui, mentre la fissava, come se non l’avesse riconosciuto oppure come se avesse avuto paura. Seayne ricordava molto bene che, tempo addietro, Stephan era svenuto dallo spavento alla vista del sangue che sgorgava dalle sue ferite e così pensava Seayne, cercando di convincere se stessa che Stephan non l’aveva coscientemente abbandonata al suo destino. La voce del giudice la strappò dai suoi tristi pensieri, e riportò la sua attenzione su Aurora, la coraggiosa, leale compagna, alla quale Araldus aveva sbolognato l’ingrato compito di tentare la difficile impresa di toglierla dai guai. Sola, davanti a un pubblico e una giuria ostili, dopo aver fatto vagare lo sguardo dalla compagna, alla folla e, infine, sui tre giudici, Aurora iniziò la sua arringa, dapprima esitando ma prendendo via via coraggio, mentre parlava. Con una supplica, Aurora, la numero 18 dell’Organizzazione, aveva concluso il suo intervento. Seayne era sicura che le fosse costato un enorme sforzo e, fosse servito o meno, le era grata, semplicemente perché… ci aveva provato, come una vera caposquadra che si preoccupa della sua compagna. La guerriera prigioniera sperava che le fosse concesso almeno il tempo per poterla ringraziare. Ma tutto fu inutile. COLPEVOLE! Verrà rinchiusa nelle segrete di Rabona a espiare i suoi peccati finché morte non sopraggiunga! Seayne aveva ascoltato in silenzio la sentenza che, come si aspettava, non le lasciava scampo, ma ciò che la riempì d’angoscia fu il modo in cui le sarebbe stato fatta scontare la pena capitale: morte per fame e sete il che, considerata la naturale resistenza di una guerriera, si sarebbe tradotto in una lunga, straziante agonia. Durante il tragitto verso le segrete, il sole che filtrava dalle finestre, questa volta, non le fu di nessun conforto. Ciò che temeva non era tanto la morte, quella l’aveva messa in conto il giorno in cui era diventata una guerriera dell’Organizzazione, quanto la paura di perdere il senno nell'oscurità della cella e, di conseguenza, il controllo di sé… Più tardi, nuovamente immersa nel buio della sua cella Seayne, dopo essersi concessa un pò di tempo per recuperare, nei limiti del possibile, la stanchezza e lo sfinimento che la pervadevano, nonostante si sentisse sola e abbandonata al suo destino, la ragazza cercò di non farsi prendere dal panico, sforzandosi per mantenere la calma e pensare razionalmente a un modo per uscire da quella cella. Ma nonostante i buoni propositi, non passò molto tempo che la mente di Seayne cominciò di nuovo a perdersi in quell'oscurità umida e fredda, che le strappò un brivido nonostante il suo fisico ibrido non risentisse degli sbalzi di temperatura. Senza quasi rendersene conto, la ragazza iniziò a pensare a voce alta, quasi che il suono della sua voce fosse un’ancora che la teneva aggrappata alla realtà, cercando di scacciare i pensieri sempre più cupi che le rintronavano nella testa, alimentati da quel buio immobile e perenne. Pensieri che nascevano nel punto più oscuro e rabbioso della sua anima, laddove alloggiava la bestia che si portava dentro, la quale facendo leva sulle sue paure e insicurezze, si prendeva gioco di lei, cercando di spingerla verso quel confine che ogni guerriera sa di non dover mai superare, fino al punto da farle perdere per qualche istante il controllo dello yoki che però Seayne, con uno sforzo di volontà riuscì a sopprimere, aggrappandosi a tutto quello che di umano conservava ancora in se, ricacciando il suo lato oscuro nel profondo della sua anima. Altro tempo passò e Seayne, forse per timore che le cose le sfuggissero di mano non aveva ancora trovato la risolutezza necessaria per tentare la fuga. Tuttavia la giovane guerriera cominciava ad avere un po’ di sete, segno che il tempo comunque passava, ma il suo stava, lentamente, iniziando a scadere. Fu proprio allora che la ragazza udì una voce femminile e vagamente familiare che sembrava la stesse chiamando: era Aurora! Aurora che era tornata indietro per lei! Con la speranza che le rinasceva in petto, Seayne incrementò il suo yoki per spezzare le catene e i ceppi che ancora la bloccavano, mentre chiamava con tutto il fiato che le rimaneva la compagna. Gli sforzi di Seayne furono ricompensati dallo spezzarsi dei legami che la tenevano avvinta. La ragazza non poté fare a meno di provare una momentanea soddisfazione, subito rovinata dalle conseguenze di quel gesto: il suo grido e il rumore della ferraglia che andava in pezzi avevano messo in allarme la ronda di guardia alle segrete. La compagna la rassicurò, dicendole che era venuta per portarla via, mentre afferrava le sbarre della cella. Seayne si unì a lei, afferrando le sbarre con le sue mani vicine a quelle di Aurora, con l’intento di aiutare la compagna a piegarle, tenendosi pronta a fuggire assieme a lei non appena il passaggio fosse stato aperto. Forse a causa di un momentaneo mancamento dovuto agli sforzi eccessivi dopo giorni di immobilità forzata, forse per l’impeto di gioia provato nel vedere le sbarre della sua cella sfondarsi, nonostante l’avvertimento di Aurora, nel momento in cui la porta cedette, Seayne le rovinò sopra, sbucciandosi le ginocchia e i palmi delle mani nella caduta. Oramai si cominciava a intravvedere la luce tremolante delle torce che si avvicinavano, assieme a delle grida di allarme che Seayne udì nonostante le urla e i lamenti spaventati degli altri condannati; delle grida che le fecero tornare in mente la notte della sua cattura a Trem: le grida delle guardie di Rabona! Aurora cercava di prendere una sbarra della porta da usare probabilmente come arma, ma Seayne l’implorò di lasciar perdere. Certo, lei era disposta a rischiare la sua vita per tentare di scappare, ma l’idea che Aurora potesse venir catturata per aver cercato di aiutarla le risultava intollerabile. Tuttavia, rispettandone l’autorità, la ragazza non disse altro, attendendo le decisioni della compagna, notevolmente più alta in grado rispetto a lei, abbassando un pò il livello dello yoki che le scorreva nelle vene, ma senza azzerarlo del tutto, pronta a correre via. Ma, poco dopo, un’imprecazione di Aurora e il linguaggio del suo corpo rivelarono a Seayne che la compagna era in difficoltà, con le guardie che oramai le avevano individuate da un lato e l’oscurità delle segrete dall'altro: il rischio di andare a infilarsi in una strada senza uscita era molto, molto alto tuttavia, grazie a un raggio di luna che filtrava da una feritoia e a quel poco d’orientamento che aveva imparato da bambina per non perdersi nei boschi del nord, uniti al ricordo del percorso che la gabbia le aveva fatto fare quella mattina, permisero a Seayne di guidare la compagna fuori dalle segrete, prima che le guardie fosser loro addosso. Uscite nell'aria fresca della notte, Seayne avrebbe voluto gridare di gioia a pieni polmoni, quasi a voler sfidare gli uomini di quella città, ma sapeva bene di non poterlo fare, non ancora almeno… Lei e Aurora non erano ancora fuori dai guai. Araldus le aspettava poco distante, ma dovevano muoversi con attenzione: se le guardie le avessero scoperte sarebbe stato un problema. Seayne ricordò a quel punto che Araldus aveva portato via con se Stephan e, pregando che l’amato fosse ancora con il suo superiore, ignorando grazie allo yoki stanchezza e sete, Seayne si lanciò nei vicoli di Rabona, seguendo Aurora, la quale si destreggiò con abilità nel labirinto di stradine e vicoli della città santa, finché gli occhi di Seayne non videro un grosso carro, il cui portello posteriore era aperto, come a invitare le due guerriere a salirci sopra. Vicino a esso una figura avvolta in una lunga veste: Araldus! L’uomo in nero dava l’impressione di essere, in quel momento, di buon umore, visto che aveva etichettato come “birichina” Seayne, ma poteva essere tutta un’impressione, dovuta alla concitazione del momento. La guerriera non ci badò, pensando unicamente a salire sul carro e, subito dopo, estinse lo yoki che l’aveva sostenuta fino a quel punto. Alla giovane guerriera mancò il fiato, quando il dolore proveniente dai polsi e dalle caviglie martoriati dai ceppi e sforzati durante la fuga, nonchè la spossatezza dovuta alla lunga corsa e al periodo trascorso in cella dopo le gravi ferite subite nello scontro con lo yoma, non più tenuti a bada dall'energia demoniaca la travolsero. Seayne si accasciò sul fondo del carro e rimase lì rannicchiata ansimando e gemendo… Avrebbe voluto solo bere, rigenerarsi e poi dormire, rilassarsi sul serio, non quella sorta di riposo forzato a cui si era sottoposta nelle segrete e dovuto più che altro allo sfinimento, mentre le giungevano alle orecchie il fragore delle armature e le voci concitate delle guardie di Rabona le quali, tenacemente, continuavano l’inseguimento; rumori sovrastati all'improvviso dalla voce di Mastro Araldus che urlava degli ordini al cocchiere. Come Seayne sperava, nel carro c’era anche Stephan, il quale però sembrava non reagire per il momento alla sua presenza e aveva ancora gli occhi vacui, come la mattina nell'aula del processo. Seayne non capiva cosa stesse succedendo al suo amato e, a causa di questo, iniziò ad avvertire un freddo nodo allo stomaco, una sensazione di dolore e impotenza che prevalse sulla sofferenza che provava in tutto il corpo. A quel punto, spinta dall'amore che provava per Stephan, la guerriera cercò di prendere tra le sue mani il volto dell’uomo, per fissare i suoi occhi d’argento in quelli di smeraldo del giovane, sperando che la vista del suo volto sarebbe servita a scuotere l’amato dalla sua apatia.e, se non fosse bastato, avrebbe poi avvicinato lentamente il suo viso, cercando di parlargli dolcemente, revocando la notte del loro primo bacio, finendo col baciarlo sul serio cosa che, in quel momento, Seayne desiderava più di ogni altra cosa al mondo: Mentre nel suo corpo una miriade di sensazioni si mescolavano: gioia, tormento, estasi e panico, alcune lacrime iniziarono a sfuggirle dagli occhi. Da qualche parte, nella sua mente, la giovane guerriera sapeva che Mastro Araldus ed Aurora la stavano probabilmente osservando, ma in quel momento non le importava… Quell'idillio venne bruscamente interrotto da Araldus il quale, cercando disperatamente un modo per scrollarsi di dosso le guardie di Rabona che tenacemente li inseguivano, con una sberla staccò Seayne dal suo amato, facendole sbattere la testa per terra e buttando l’uomo dal carro in corsa. D’istinto Seayne voleva accorrere in suo aiuto, ma Araldus proibì tassativamente a lei e ad Aurora di soccorrere l’uomo, pena una condanna all'epurazione! Seayne si ritrasse in un angolo del carro, piangendo rannicchiata su se stessa. Traumatizzata da quanto appena avvenuto davanti ai suoi occhi e incapace, nella sua mente semplice, di comprendere la logica dell’azione di Araldus, rimase a chiedersi perché, dopo aver sentito per anni, da parte dell’Organizzazione, il mantra che recitava di non uccidere mai, per nessun motivo, neanche il più spregevole degli umani, uno dei suoi superiori avesse gettato un uomo mite e gentile come Stephan dal loro carro in corsa, rischiando così di ucciderlo con il solo impatto al suolo, figuriamoci poi con le guardie di Rabona… Stretta in una morsa di dolore, onore gratitudine e rabbia, Seayne cedette sotto il peso di quelle emozioni, attribuendo a se stessa la colpa di quanto accaduto al suo amato, pregando per la sua salvezza e, consapevole che il suo cuore sarebbe per sempre rimasto con Stephan. Cercando un appiglio per la sua esistenza sconvolta, Seayne si risolse di aggrapparsi all'unica certezza della sua vita, ovvero l’Organizzazione che per ben due volte l’aveva salvata, rinnovando silenziosamente il giuramento di fedeltà alla stessa e sperando, un giorno, nei suoi vagabondaggi, di avere notizie sulla sorte di Stephan. |
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