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TEST Un normale pomeriggio a Staph [Lachesi]
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22-02-2014, 12:40 AM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 22-02-2014 06:24 PM da Lachesi.)
Messaggio: #28
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RE: Un normale pomeriggio a Staph [Lachesi]
All'età di otto anni, lei e sua sorella fecero una scommessa: chi delle due avrebbe rammendato meglio la gonna, avrebbe preso l'ultimo dolce. Quella che avrebbe perso avrebbe invece rotto il regalo di Esbern per sua madre; le regole le aveva decise Elise ed ovviamente, Dua, perse come la sorella maggiore si aspettava. Mentre Elise si gustava l'ultimo dolce della casa, Dua ruppe il suddetto regalo e per la prima volta in tutta la sua vita vide l'espressione più adirata e disumana di sua madre. Non ammise mai che era stata sua la colpa, anche se era stata "istigata" dalla sorella, perché ebbe troppa paura di prendersi la responsabilità delle sue azioni. Esattamente come dodici anni fa, Dua si trovava in una situazione a dir poco spiacevole senza avere però il coraggio di assumersi le sue stesse responsabilità; era incollerita nei suoi confronti per non essere riuscita a reagire ma non capiva cosa avesse sbagliato, né voleva ammetterlo in alcun modo. E comunque, in quel momento, era così debole e concentrata a raggiungere la propria spada da dimenticarsi completamente di tutto il resto. Il suo sangue macchiava la sabbia secca della città come il pigmento ad olio macchiava la tela ruvida di un quadro; il colore era sparso in giro dal suo corpo di Dua, come se esso fosse stato il fine pennello di un famoso artista. La Novizia si chiese che razza di figura stesse quindi dipingendo con il suo stesso sangue ed anche se non poteva vedere, si immaginò un gigantesco corvo pronto a banchettare con il suo cadavere. L'idea la spaventò un po' e dopotutto anche se era solo un'immagine nella sua testa, bastò a farla immobilizzare là dov'era; cercò di riprendersi ma non ebbe le forze di sollevare la sua carne sempre più fredda e sempre più pesante. "A cosa servirebbe raccogliere la spada..." Pensò, disperata. "Se non posso nemmeno muovere il mio corpo?" Socchiuse gli occhi, arrendendosi al suo destino. Lentamente sentì i rettili salirle sul corpo e con un sospiro affranto decise di lasciarli fare mentre le sue palpebre sembravano pesarle ogni secondo di più. Poco a poco la vista le si offuscò e senza che se ne accorgesse, era già finita in un altro mondo. Se quello era l'aldilà, Dua si sarebbe aspettata qualcosa di certamente diverso. Era una sorta di attico buio e polveroso, sembrava abbandonato e nessuna persona sana di mente avrebbe voluto restarci per più di un'ora; aguzzando la vista, forse non era tanto il fatto che fosse buio, quanto più che tutto fosse ricoperto da un triste alone di grigio che non dava e non trasmetteva nulla. Un luogo amorfo, per persone apatiche; era stipato e riempito di vuoto e nulla. Dua faceva fatica a respirare, in un posto del genere, e in un attimo si chiese come fosse possibile avere difficoltà a respirare essendo lei già morta; in un secondo momento di appiattimento cerebrale, si rese conto di essere sdraiata in terra con il volto schiacciato sul pavimento di legno e polvere. Non seppe per quanto tempo rimase in quella posizione, sapeva solo che non aveva voglia di alzarsi e che lasciarsi marcire in quel posto così le andava più che bene, purché finisse in fretta. Era un po' rammaricata di morire, eppure, perché insomma: chissà cosa le sarebbe successo se invece fosse rimasta in vita; avrebbe ritrovato sua sorella? Un'amica? E se fosse rimasta umana, avrebbe incontrato qualcuno con cui trascorrere la sua vita? Con un sorriso patetico si chiese chi avrebbe voluto essere sorella di una perdente come lei, o amica o fidanzato; era giusto che lei morisse. Non lo aveva mai detto a nessuno ma si era sempre sentita "malata" dentro ed ora che condivideva la carne ed il sangue di uno Yoma questa sensazione era così vivida e reale da farla star male ma nessuno l'aveva mai capita. Un gracile gracchiare sopra la sua testa la distrasse, fu costretta anche se contro voglia ad alzare il capo; l'ambiente da sogno era così irreale da sembrare essere stato fatto con acqua e colori solubili, sempre grigi o neri. Anche il corvo, autore del gracchiare, aveva gli stessi colori polverosi ed amorfi di tutto il resto e al solo sguardo creò in Dua un senso di malessere: era un essere così rivoltante, così patetico e insulso che non poteva avere effetti positivi su qualsiasi essere di mente sana. Con uno sguardo più attento Dua notò qualcosa di totalmente insano in quell'animale: il costato del corvo era visibile e grondante di sangue e interiora; seguendo il filo dello stomaco della bestia vide che il becco del Corvo stava masticando proprio le sue interiora. Era lo spettacolo più macabro alla quale lei avesse assistito. Con un senso di disgusto Dua sentì rivoltarsi contro il suo intestino, le vennero le vertigini e sentì una salivazione eccessiva; sentiva il riflusso acido risalirle per l'esofago, una sensazione che aveva provato spiacevolmente anche nella Città Senza Nome. Riflettendo anche soltanto su quel luogo si ricordò di tutto ciò che aveva passato in quel momento ed osservando il corvo con occhi nuovi capì quanto gli somigliasse: per nutrirsi l'animale mangiava sé stesso, non ne traeva beneficio alcuno. Per sopravvivere, si arrendeva a tutto. E lei non voleva essere come quella bestia. Un'insolita luce entrò dalle finestre di quell'attico bizzarro, inizialmente la luce fu così forte da accecarla ma dopo qualche istante fu costretta ad aprire gli occhi. "Il sole?" Pensò, confusa. Li aprì, la notte stava venendo illuminata da qualcosa che l'aveva destata ed i rettili erano fuggiti. -Ah!.. Ahah...- Una mezza risata di gioia uscì dalla bocca storta e sanguinante di Dua: era viva! E da un orrendo incubo aveva trovato in lei la forza per andare avanti, per non essere quell'essere ridicolo che era sempre stato. Ma stava comunque morendo! Il sangue non smetteva di scendere dalle sue ferite dilaniate e per quanto l'idea che il sole stesse forse sorgendo, doveva pensare a sé prima che tutto il resto. Sì, avrebbe dato la vita per qualcuno cui ci teneva ma per farlo doveva prima di tutto essere in grado di farlo, non morendoci insomma. Non sapeva da cosa fosse data tutta quella improvvisa fiducia nel domani, forse da un bagliore insolito che perforava l'oscurità notturna o forse perché per una volta Dua voleva e poteva essere più di quello. Al contrario della Novizia precedente lei aveva reagito e non si era limitata fuggire, aveva avuto un piano. Poteva farcela. Chiuse gli occhi e si concentrò, doveva liberare quanto più Yoki possibile per curare le ferite che quella sera le avevano infierto ma per farlo voleva e doveva restare calma. Voleva sorridere nel farlo e voleva pensare ai paesaggi verdi ed azzurri della sua terra natia, a quanto questa riuscisse a calmarle la mente e a farle distendere i nervi. Aveva ancora qualcosa per cui vivere, o gli Dèi l'avrebbero lasciata morire, solo che non sapeva ancora cosa ma non poteva permettersi di perdere la speranza proprio in quel momento. Con fermezza e decisione rilasciò una grande quantità di Yoki nel proprio corpo, aveva poco tempo a disposizione e doveva farlo in fretta ma con estrema precisione. Citazione:Stato Fisico: Occhi gialli e felini, umidi con venature ai lati degli occhi e [font=Verdana, Arial, sans-serif]dentatura aguzza. Muscoli gonfi, massa raddoppiata. Ferita di entità [/font]media (perforazione del tessuto muscolare) alla spalla sinistra e lacerazione del tessuto muscolare all'altezza del seno, ferita leggera. |
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