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[In Missione] Scheda di Angelica [La X di Miria]
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23-02-2014, 05:31 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 17-09-2019 04:33 PM da La X di Miria.)
Messaggio: #1
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[In Missione] Scheda di Angelica [La X di Miria]
Nome: Angelica
Anni: 18 Altezza: 1.72 m Peso: 60 kg Arto Dominante: Destro Tipologia: Difesa Avatar: Simbolo: Abilità e Tecniche apprese: - Addestramento Sperimentale [Abilità Innata] Assegnabile solo a Guerriere di Difesa. La Guerriera da Novizia fu scelta per ricevere un addestramento sperimentale, diverso da quello delle sue compagne. Il risultato consiste nella sua esclusiva capacità di poter apprendere Tecniche a dispetto della sua natura. Profilo Fisico: I capelli scivolano lisci fino alle spalle, gli occhi penetranti sono messi in risalto dalla linea decisa delle sopracciglia e dalla fitta corona delle ciglia. Il naso è dritto, con la punta rivolta verso l'alto. Labbra morbide e rosse sbocciano sul bianco incarnato del volto. Le spalle si sviluppano ben dritte, con le scapole e i muscoli vigorosi del dorso. Il seno è poco pronunciato, appiattito da fasce sotto la divisa per evitare fastidi negli scontri. Segue il ventre ben disegnato dalla curva dei fianchi e dagli addominali asciutti. Le articolazioni sono flessuose e dalla muscolatura nervosa, delineata sotto la divisa. Le mani sono delicate ma nel contempo salde sulla spada, i piedi leggiadri ma capaci di scatti decisi. Profilo Psicologico: Se fosse possibile descriverla al meglio con un solo aggettivo, quello sarebbe di certo ”flessibile”. Così come è flessibile nel corpo, lo è anche nell'indole: si adatta ad ogni situazione, il suo modo di pensare la spinge a considerare ogni possibilità e a tenersi aperta ogni strada, così da prendere la decisione migliore. Perciò ammette i compromessi, purché ragionevoli. Impara a conoscere gli altri semplicemente osservandoli e studia le situazioni allo stesso modo, cercando di raggiungere l'obiettivo con la minima fatica e la massima efficacia. Ciò che le sta più a cuore è la calma: odia tutti i tipi di “agitatori”, gli irascibili, i loquaci, i paranoici, i lamentosi e così via. Spesso è ben disposta a porsi da intermediaria tra due parti pur di ritrovare la tranquillità; viceversa prende in simpatia coloro che non la turbano. Detesta i brutti ricordi, specie quelli con suo padre, la agitano e cerca sempre di respingerli. Si esprime in maniera corretta e si adira molto raramente: ama vedere le cose con ottimismo. L'Organizzazione è un'istituzione necessaria al raggiungimento della pace, perciò le è fedele e s'impegna con entusiasmo nella lotta agli Yoma. La sua flessibilità mentale deriva dal suo grande amore per la tranquillità, impossibile da raggiungere con un'indole poco propensa al compromesso e dalle posizioni assolutistiche; di conseguenza non coltiva grandi ideali né forti passioni, ma ragiona e decide in funzione del suo unico punto fermo: la pace, sacrificabile solo per raggiungerne una maggiore. Dopo essere divenuta una guerriera ed aver preso parte a delle missioni ufficiali, il suo animo è andato via via irrigidendosi a causa di nuove preoccupazioni e numerose responsabilità, dovute alle aspettative che aveva riguardo se stessa in qualità di guerriera, al relazionarsi tra compagne e al ruolo di caposquadra che ha rivestito in due missioni. Tutto ciò ha avuto come conseguenza il suo focalizzarsi sulla ricerca di ordine e stabilità, la quale ha messo in secondo piano l'idea di una serena ricerca di pace e quieto vivere, che prima l'animava. L'incontro destabilizzante con Samara ha avuto però l'effetto di incrinare questa sua rigida prospettiva, facendole riassaporare per un istante la leggerezza perduta e ponendosi, forse, come inizio di una nuova evoluzione personale. Storia Personale: Nacque in una tiepida notte d'inverno, su di un soffice letto di morte. Suo padre, scosso dalla perdita della moglie, la custodì come il più sacro dei segreti: la chiamò Angelica e la rinchiuse negli alloggi più alti della casa. Per il suo bene! In un mondo di serpi non c'era spazio per un uccellino fragile come lei! Tuttavia, gli piangeva il cuore nel vederla, anno dopo anno, magra e pallida, abbandonata sul letto, curva sui libri a sfogare la sua voglia di evadere, in lacrime mentre fuori le voci gioiose dei ragazzi si rincorrevano l'un l'altra. Quando vedeva ciò, dallo spioncino della porta, gli veniva un groppo proprio sotto lo stomaco; quasi quasi la liberava, magari per il suo compleanno, per una volta che vuoi che succeda? Ma poi avvertiva quel formicolio, quell'eccitazione che gli procurava lo schiocco della serratura, dopo averle dato la buona notte. E se poi volava via? E se poi le torcevano una zampetta o le piegavano un'ala? O peggio, se la mettevano contro di lui? Lo sapeva, lo sapeva che Cesar aveva in mente qualcosa, voleva portargli via il suo denaro, i suoi affari, la casa, la sua piccola, tutto! Doveva liberarsi di lui, solo che ora ne aveva così bisogno: mandava avanti gli affari, dirigeva la casa, si occupava di tutto. E lui? Che cosa faceva lui? Be', ora era malato, non faceva molto, ma rimaneva pur sempre il padrone! Che Cesar si prendesse tutto per ora! Lui avrebbe difeso sua figlia e intanto si sarebbe rimesso: stava migliorando! I servi non li azzannava più e parlava persino senza sbavarsi addosso. Sì, doveva solo resistere, e poi gli avrebbe mangiato il cuore, a quel bastardo. Era da quando si era alzata che una nuova energia le scorreva in corpo, come un presentimento, e difatti qualcuno bussò alla sua stanza. Atterrita, Angelica si nascose sotto le coperte. Suo padre non bussava mai. Chi era così sciocco da entrare a rischio della vita? La serratura saltò, trattenne il respiro finché non comparve una faccia da vecchio: disse di chiamarsi Cesar, di non essere spaventata, che suo padre aveva avuto un colpo al cuore, e che gli aveva ordinato di prendersi cura di lei. Quel lampo negli occhi, la piega dura della bocca, la postura rigida le comunicarono inflessibilità, rigore, ambizione; lo sguardo fermo non mostrava paura. L'afferrò per un braccio e non appena la vide, Angelica quasi svenne. Tutto quello che le disse fu “vieni”. Non avrebbe mai creduto di vivere in una casa così grande: poter uscire in giardino, poi, fu come toccare un sogno. Sotto gli occhi sorpresi della servitù, mosse i primi passi sull'erba, inspirò l'aria pulsante dell'esterno, abbracciò il panorama con gli occhi, così sterminato che la sua mente non poté sopportarlo. Si risvegliò al tramonto, in un letto che non era il suo. Accanto a lei c'era una donna dai capelli chiari e con occhi nerissimi, inquietanti. Disse di chiamarsi Rebecca, che Cesar l'aveva incaricata di occuparsi di lei: c'era qualcosa di oscuro in quella donna, qualcosa che aveva anche suo padre. Ma nonostante la prima diffidenza, Angelica finì per affezionarsi a quella donna, così taciturna e paziente, che rispondeva a tutte le sue domande, faceva tutto ciò che le chiedeva. Aveva lo sguardo assente, non parlava mai di sé e spesso si portava le ginocchia al petto: se fosse solo una persona chiusa, o se soffrisse per qualcosa Angelica non lo capì mai. Dormivano nella stessa stanza, solo che lei lo faceva in modo buffo, seduta a terra e appoggiata al muro: chissà come poteva stare comoda. Anche quella notte Rebecca si era rannicchiata contro il muro e Angelica, sentendo una mano sulla fronte, pensò fosse lei. Ma quando socchiuse gli occhi, la mano si serrò sulla sua gola e parole confuse gorgogliarono dall'ombra “Perdonami, perdonami Angelica...uccidila, uccidila... no, non voglio!”. Suo padre guaiva, frignava. “Non voglio... mia figlia...” Caricò il braccio e... si trafisse il ventre. Grida acutissime le forarono i timpani, suo padre si scavò l'addome, estrasse le viscere e se le strappò a morsi, mentre fiumi di sangue inondavano il letto. Una spada gli sbucò dal cranio e mise fine allo spettacolo. Rebecca fissava il corpo, stringendo una spada grande quanto lei: fu l'ultima volta che Angelica la vide. Dopo quella notte si ritrovò sola in una casa enorme, di cui non conosceva niente e nessuno, e che ora era sua, assieme a tutti i beni di suo padre. Non immaginava cosa avesse ereditato, né come lo avrebbe gestito, e non ne ebbe nemmeno bisogno: giorni dopo, un uomo vestito di nero bussò alla porta, disse che era venuto per la ricompensa, “Quale ricompensa?” Ma Cesar gli aveva già messo in mano una bisaccia traboccante di monete. Guardò lei, e così fece anche l'uomo in nero. “È tua”. L'uomo l'agguantò per un braccio, la trascinò con una forza incredibile, a nulla valsero le sue preghiere; l'ultima cosa che vide fu il trionfo sfolgorare negli occhi di Cesar. |
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