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TEST L’Innocente [DarkGreen]
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01-03-2022, 12:10 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 01-03-2022 12:43 PM da DarkGreen.)
Messaggio: #2
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RE: L’Innocente [DarkGreen]
«Parlato» | “Pensato” | «Parlato da altri»
“Vento di quiete cervella in tempesta rotolo gravido sull’occhio funesto. Schiacci gli affanni stritoli serpi avvolgi il pensiero dell’oro degli anni. Figlioli involuti le ansie cruente tessono inganno con flegma veemente…” A che pro recitare una vecchia formula di lieve – e anche abusivo– esorcismo? A niente, le tornò a caso in mente ancor prima del sorgere mattutino, quando il velo della notte dava mogio cenno di spogliarsi delle sue consunte e lasche vesti. Era sveglia da allora: insulso dormire quando ti vien voglia di recitare qualcosa, tirato fuori quasi per sbaglio da un inventario di memorie ancora più insulse. Ne approfittò per prepararsi. Un raggio di sole rischiarò la camera e attraversò i vetri della finestrella, andando a fendere gli occhi argentei di Eudoxa, che dette le spalle all’aurora e si avviò alla porta. La puntualità eccita gli uomini in nero. “... Sali più in alto buttati adesso lascia la salma della cupa malora. Entra il buonocchio nella casa di luce…” In quello stesso momento, una raffica di pugni si sferrò contro quella porta che stava per aprire. “Ho visite, già da ora? Che onore!” Indietreggiò velocemente e si assise sulla brandina, iniziando a stiracchiarsi, con il volto corrucciato da mille espressioni di taciuto e mugugnato sbadiglio. Doveva sembrare che si fosse svegliata da poco. Nascondere le proprie impronte quando irrompono estranei: mossa numero uno per sopravvivere al levarsi di una ghigliottina travestita da sipario. Gaul le comparve dinanzi in tutta la sua tamarroide foggia. “...entra il buonocchio nella casa di luce, eh?” «Gau Gau…» lasciò scivolare una mano dietro alla nuca, arcuando la schiena in avanti nel consueto gesto di distensione post-intorpidimento notturno (chiaramente finto) «Che pensiero gentile venire a trovarmi di prima mattina…» Quante ne aveva prese da Gaul, sia che fosse in torto sia che no. Alcune volte, quando pure era innocente, le veniva il singolare ghiribizzo di procacciarsi qualche mazzata. Se ne sentiva come fortificata. “Chi impara a sottoporsi al dolore sarà iniziato al suo costante superamento. È stupido sottrarsi ad un’occasione di sofferenza: rende fiacchi, vili, inutili.” Tale era la sua logica, sempre ammesso che avesse davvero idea di cosa fosse in effetti una umana sofferenza. Se la ridacchiava anche, quando questo avveniva: era così semplice ingannare una mente bruta che pone nelle menate l’unico briciolo di soddisfacimento. Dai, impossibile non divertirsi a un certo punto! « [...] testa di pa- [...] Vieni co- [...] Semirh- [...] -e vederti!» Buona parte dell’ordine venne tagliuzzata e coperta da un rumoroso, arrochito, teatrale e a momenti sensuale sbadiglio. Riuscì comunque a comprendere la sostanza del messaggio, ricostruendone velocemente i pezzi perduti. «Vengo subito allora, ma dopo di te, fustaccio.» “Scontato, come d’abitudine. Testa di… paglia? Perché, ci sono teste di inchiostro da queste parti?” Uscì dalla tana e prese a seguire il suoi passi pesanti per i corridoi in penombra. “Semirhage.” riassemblò il nome completo “Ma certo, la donna leggendaria di cui tutte parlano quando non hanno altri argomenti. La fatale donna di Staph, avvolta nel mistero di imberbi chiacchiere tra streghette allo sbaraglio. L’idolo di grandi e piccine, il cui solo nome fa battere i cuori delle sue ammiratrici. La diva, la stella, la fantasia proibita ed impronunciabile di tutti questi rozzi maschioni e delle stesse puberi marce in calzamaglia grigia. Potrei scommetterci i capelli.” Una melodiosa sinfonia si espanse soavemente nell’aria, accarezzando le pareti torve e l’udito di Eudoxa (forse anche quello di Gaul). “Torci il tuo volto verso il cielo di fuoco, rondini cremisi spiccano il volo. Cenere e nebbia restan del reo e sotto le scarpe ne strazi l’essenza…” Le note arpeggiate danzavano languidamente con il proseguio del poetico antidoto al malocchio: esso fioriva di un vellutato nero nel pensiero di Eudoxa, che apparentemente si lasciava cullare dallo spartito immaginario, dominandolo invece con le sferze di parole note, ponendo ogni suono sotto il giogo della sua recita fatua. Si fermarono. Gaul bussò con gentilezza (con gentilezza!) contro la porta che dava accesso alla fonte di musica, dissolventesi questa in un femmineo «Avanti!». L’omaccio la spintonò dentro con ben poco tatto. «Adoro quando fai così. Sai quanto mi fanno impazzire i tuoi modi virili, Gau Gau.» si voltò a sussurrargli, ancora strattonata dalla pacca e con posa ricurva, per evitare di cadere a terra. Finalmente si rivoltò e realizzò il luogo in cui era stata scaraventata: fine, curato, colto – a giudicare dalle pile di libroni sistemati sugli scaffali –, di sopraffina e semplice eleganza, proprio come la dama troneggiante in un angolo della camera, a fianco dell’arpa. “Eccola allora, la mora.” Il suo vestiario era di una sobrietà raffinata, dai dettagli signorili ma miti, faceva da logica appendice al suo aspetto, a metà tra l’incarnato marmoreo e la levigata rilucente ossidiana. «Io sono Semirhage e tu sei Eudoxa, la piccola strega di Rabona, vero?» Replicò con un’espressione quietamente attonita, le sopracciglia innalzate, la bocca aperta e la testa inclinata verso sinistra e di poco proiettata in avanti, lentamente sfumandosi il tutto in un sorriso affabile e tenero, che metteva in risalto l’eburnea dentatura. “Oh, devi aver sbagliato persona! Ah ah ah... piccola strega… che carineria insipida.” La rimbambì di parole, narrandole la storia di uno scultore di Duchamp, Ned Warner, padre di una presunta divoratrice di uomini, segregata in casa dallo stesso, quando le morti violente continuavano ugualmente copiose e per cui, onde scongiurare o asserire la colpevolezza della figliola, si richiedeva l’intervento di una claymore. «[...] Semplice no?» “Il suo tono è piacevole, ma dovrebbe lavorare sulla forma. Abbigliata da principessa oscura e con un linguaggio che ripercorre, con qualche saltello mezzo aggraziato, la strada ciottolosa e infangata di tutti gli altri burberi del quartiere. Che tedio questo vilipendio di logos. Avrebbe potuto dirmelo cantando a suon di arpa. Chissà se sa cantare… potrei farla cantare.” Con un nuovo movimento dell’arcata sopraccigliare stava per risponderle, quando notò una lama affilata alle sue spalle e la mano di Gaul che gliela porgeva. «Questa è la tua arma! Se completerai la missione verrai promossa e inserita nei ranghi delle guerriere graduate e avrai la tua arma e la tua uniforme personalizzate con un tuo simbolo!» “Allettante. Proprio quello che più ardentemente desidero in questa vita.” Che fosse vero o no, impugnò la spada, ne solleticò il ferro con i polpastrelli, mentre le sue iridi si mescevano col riflesso metallico irradiato dal flebile sole. Poi la poggiò a terra. «Duchamp si trova in direzione Nord-Nord Est rispetto alla nostra fortezza. Sorge nell’unico punto adatto a un insediamento sulla costa a circa quattro giorni di cammino da qui. Se seguirai la via più diretta, la strada segnata, eviterai di attraversare il deserto. Ora, se hai domande da fare questo è il momento di porle; altrimenti puoi andare!» Eudoxa le si avvicinò piano. «Bel serpente, quello.» indicò il bracciale congiunto ad un anello, su cui splendevano gli occhietti zaffiro del rettile. Giunta alla distanza di una manciata di spanne dalla signora, si inchinò poggiando il gomito destro sul ginocchio destro, la mano sinistra a tenere mollemente l’altra. «Mia signora, ho lungamente sentito parlar di lei in chiacchiere di nulla consistenza e, ora, trovarmi la sua reale presenza a così pochi passi mi trasmette suggestione. Sono molto lieta di incontrarla infine. Giusto ora notavo la sua curiosa armilla.» spostò lo sguardo sull’ornamento, poi tornò a guardarla negli occhi «Un amuleto degno della sua presenza… pregno di potenzialità impensabili e vorticosamente esaltanti. Lo sento in me, non sempre mi capita di ascoltare questa indecifrabile voce.» Allungò lentamente il palmo della sua sinistra, dischiudendo le dita e prendendo un morbido respiro. «Me lo renda, in prestito ovviamente, per la durata di questa iniziatica missione. Ho la certezza che sarà di inaudito ausilio. E no, non lo userò come arma, non sia mai! O venderlo per ricavarne denaro, oppure tenerlo per me? A cosa mai potrebbe giovarmi? Io lo custodirò con cura ed esso non subirà alcun minimo graffio, a costo di perdere le mie mani per conservarlo nell’assoluta integrità.» Parlava con voce soffusa ma chiara, ogni respiro era soffiato o inspirato con attenta dedizione. Resto brevemente con le labbra dischiuse e gli occhi fissi sui suoi, poi scosse la testa con leggera e chinata enfasi: «Me lo presti, Semirhage. Il mio guadagno è il suo, per lei e per noi tutti mi consacro a questa responsabilità. Se il destino vorrà che io non lo riporti a casa, che io possa subire qualsiasi pena di sua netta discrezione. Il rischio è mio, se ci pensa. Anche Gaul, oh sì, potrei farmi abbracciare da lui, se dovesse accadere! Credo che lei conosca quali appassionati amplessi sia capace di dare…» Citazione:Yoki utilizzato: 0% But a desperate fear flows through my blood
That our dead love's buried beneath the mud. |
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