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[In Missione] Scheda di Dua (Lachesi)
14-03-2014, 01:52 AM
Messaggio: #3
RE: [In Missione] Scheda di Dua (Lachesi)
Capitolo I

Un Normale Pomeriggio a Staph




[Immagine: 2uo5doo.jpg]






Un naufrago, trasportato dalle violenti correnti di un mare burrascoso ed in tempesta senza la possibilità di opporvisi, stretto con mani insanguinate all'ultima cima di quella vecchia nave marcia che lo aveva trascinato là e circondato dalle fredde oscurità di una tempesta notturna poteva portare il nome infame di Dua?
Sì, se la tempesta poteva essere rappresentata da quell'infame giorno a Staph; sì, se l'acqua salata ed affamata di corpi umani poteva rappresentare il fato inevitabile che attende tutti noi. E quella cima logora ed usurata dal tempo e dall'incuria, unico appiglio ad un'incerta salvezza, cosa poteva essere se non la flebile speranza che tiene la nostra razza in vita per ancora un giorno, forse due?

La Novizia stava riposando tranquilla nella sua tana quella mattina come un marinaio al fianco del suo peschereccio attraccato al molo, attendeva solo che un soffio di vento propizio la sospingesse verso mete che non avrebbe saputo riconoscere; qualcosa a smuoverla, da quella posizione statica, noiosa ma certamente sicura, arrivò: un uomo la prelevò dal suo nascondiglio, le indicò una strada che assieme percorsero.
Quel lungo tragitto attraversato di corsa sembrava così faticoso ed impegnativo per Dua, affaticata e per nulla avvezza a quel tipo di attività fisiche; ancora non aveva idea della portata di ciò che l'attendeva, della violenza con cui presto sarebbe stata colpita. Tutto era ricoperto da un velo di pace e tranquillità, una bonaccia aleggiava sulla sua vita: statica, troppo per rimanerlo ancora.

Le istruzioni fornite da Kelsier furono scarse, quasi nulle, e la Novizia ubbidì solamente senza trovare alcuna forza per ribattere o anche solo per incuriosirsi; senza un timoniere che la mettesse in guardia si immerse completamente in una Città priva di nome, abbandonata e desolata.
I palazzi fatiscenti richiamavano a sé qualche forza che non apparteneva a quella terra, a quel mondo originario di Dua; era ricoperto e velato da una forza mistica affascinante ed inquietante.
Quel pozzo sabbioso, poi, in quella piazza altrettanto sabbiosa e vuota di umanità affascinarono moltissimo la ragazzina; era lì che doveva passare la notte ed in quella piazza avrebbe fatto calare la sua àncora.
Come il marinaio che guarda perplesso il cielo pomeridiano, che si domanda dei suoi cari lasciati a terra, Dua ricordò che in quelle rovine delle persone respiravano e vivevano. Forse, se si fosse concentrata di più le avrebbe potute sentire ancora là; avrebbe visto la condensa dei loro respiri sui vetri polverosi di una Città Fantasma da incubo.
Ed i suoi incubi erano fantasmi del passato: il vecchio e ammutolito Esbern, la silenziosa ed egoista Elise e la madre dalla natura ambigua impensierivano la giovane ma come il marinaio voltò le spalle a quelle problematiche.
Chiuse gli occhi, stanca esigeva riposo.

Si risvegliò quando il cielo era scuro e tetro; in lontananza i primi sbuffi vaporosi che portavano tempesta e burrasca nella sua vita, l'acqua per Dua iniziò presto ad agitarsi in una Città Senza nome dall'aspetto spettrale e dalle forze inumane. 
Bestie viscide, verdi e dagli occhi gialli disturbarono il suo sonno; una o due di esse erano come nuvolette che annebbiavano il paesaggio ma in quel numero, erano come monsoni che minacciavano una terribile bufera a venire.
Dua prese la spada, la sua speranza, la sua cima, si alzò con essa e fuggì alla ricerca di un luogo dove sostare senza che il suo riposo ed il suo lavoro non venissero disturbati ulteriormente ma gli incubi, come presto avrebbe scoperto, non accettavano di essere dimenticati e lasciati indietro.
Anche solo aggirarsi tra quelle strade buie e scarsamente illuminate dalla Luna rendeva l'aria irrespirabile e aliena; una momentanea calma che avrebbe preceduto la tempesta.
Là, in quella strada abbandonata Dua si imbatté in uno scoglio che non avrebbe mai dimenticato: il corpicino massacrato di una ragazza impaurita come lei che, ahimé, non aveva stretto abbastanza tra le mani la sua unica speranza di sopravvivenza.
Fu tanto il disgusto e la paura che Dua provò in quel momento, che le si rivoltò lo stomaco contro e riversò in terra tutto quel poco di cui si era nutrita la sera prima.

La "meraviglia" e lo sconcerto di scoprire il cadavere di una come lei non era nulla paragonato alla tempesta vera e propria che la stava ormai per colpire: una voce, un suono ferale come il vento, e se il marinaio fu costretto a volgersi verso le minacciose nubi all'orizzonte, Dua fu invece costretta ad ascoltare quelle demoniache parole di uno Yoma.
Fu orrendo, macabro e spaventoso sentire come quella poveretta fosse stata eviscerata da viva ma anche se le ginocchia le tremavano come steli d'erba ebbe quel poco di coraggio che le permise di voltarsi e fuggire, un po' come il nostro marinaio voltò le spalle alla minaccia e cercò di fuggire.
Dua scappò verso la minaccia che precedentemente l'aveva spinta a trovare, accidentalmente, il cadavere sperando che le lucertole potessero aiutarla.
Tale ipotesi fu in parte corretta ma le belve fameliche le si rivoltarono contro, come se gli artigli dello yoma non l'avessero scheggiata abbastanza da renderla simile alla carena della nave ferita dagli scogli.
Fu uno scontro ridicolo e spaventoso, dove più volte Dua si fece paralizzare dalla paura; infine, sopraffatta dalla fatica, lanciò il suo "salvagente": la lama, liscia ed affilata, affondò nelle morbide carni dello Yoma. 

Il naufrago si era gettato dalla nave, allontanandosi dal pericolo di affogare in un mare mosso insieme agli scheletri dell'imbarcazione ma il pericolo non aveva cessato di minacciarlo; Dua condivideva lo stesso destino: in quella notte buia e tempestosa, la ragazza perse momentaneamente i sensi ed in un secondo momento ebbe la tempra mentale di rilasciare yoki e di vivere.
Svenne ancora; non poteva credere di rimanere cosciente quando veniva lanciata in giro come veniva fatto dalle onde per il marinaio perso.

La mattina seguente si svegliò, ringraziando le divinità esistenti di non essersi Risvegliata e di essere sopravvissuta; se il naufrago sudicio e ricoperto dall'odore salmastro del mare tastava la sabbia ed il fango sporchi per rimettersi in piedi, Dua tentava di far lo stesso.
Doveva rimettersi in piedi, realizzare di essere viva quando altri non avevano avuto la stessa fortuna; con tristezza volse il capo verso la spada abbandonata di chi era caduto. Di chi era il sacrificio più grande? Di chi era morto o di chi doveva continuare a vivere con il peso  dei morti sulle spalle?
Sia Dua che il naufrago avevano una sola cosa restante da fare, prima di tornare alla loro vita: seppellire i compagni caduti.
Scavare nell'umida melma, nella sabbia che emanava fetore di morte, deporvi il cadavere ed imporre sopra di esso una lapide; un compito ingrato che spettava a troppi.

Tornare da Kelsier fu semplice, tornare a "casa" fu semplice; vivere e ragionare sulla morte che li aveva circondati fu difficile.

[Immagine: tumblr_nwk6rtcmjP1uhzkrko1_1280.gif]
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RE: [In Missione] Scheda di Dua (Lachesi) - Lachesi - 14-03-2014 01:52 AM

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